Centro Cultura e Arte 26 - Ricerca antropologica etnofotografica e promozione beni culturali, arte, tradizioni di Calabria

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EDITORIALI 

Etnie  pag. 3


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editoriali, recensioni e saggi su Etnie

 le minoranze etnico-linguistiche storiche in Italia

Etnie di Calabria


pubblicato il 10 luglio 201

 Seminario sulla Filologia

all'Universitą di Napoli

 

Presso il Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale dell’Universitą di Napoli L’Orientale il 30 giugno 2010 si č tenuto un seminario su “Criteri della filologia moderna e concordanza”.

La cattedra di Lingua e letteratura albanese, che ha promosso l’evento, da anni č impegnata allo studio e alla pubblicazione di opere inedite e rare per creare un corpus completo di opere in edizione critica. Lo spunto al seminario č stato dato dalla preparazione in atto dell’opera in arbёresh di Francesco Antonio Santori dal titolo “Sofia Cominiate”a cura della Dott.ssa Merita Sauku Bruci, dell’Istituto di Linguistica e Letteratura del Centro di Studi Albanologici di Tirana.

Dopo le operazioni preparatorie che hanno interessato il censimento dei manoscritti e di altri testimoni, conservati in biblioteche pubbliche e private, nello specifico Biblioteca Civica di Cosenza, Biblioteca di Copenhagen, Archivio di Stato di Tirana, e in seguito alla loro descrizione fatta con cura e meticolositą, la filologa Dott.ssa Merita Sauku Bruci ha proceduto ad un esame completo dell’opera, tenendo presente tanto il testo nell’originale albanese quanto quello della traduzione italiana fatta dall’autore stesso.

Prima di procedere alla trascrizione dell’intero testo in arbёresh, e dopo avere individuato i valori fonematici rappresentati dai segni grafici propri del Santori, rendendoli con quelli dell’alfabeto di Monastir con le dovute cautele e aggiustamenti, la curatrice ha premesso un ampio studio introduttivo (i Prolegomeni) in cui ha messo in evidenza forma e contenuto dell’opera.

Di ogni operazione e di ogni intervento č stata data attenta giustificazione e documentazione, cosģ come di ogni correzione di eventuali lapsus calami esiste il necessario riferimento alla forma considerata errata. Questo per permettere ad eventuali altri filologi di avere un quadro esauriente e documentato degli interventi e di procedere, eventualmente, ad altri approfondimenti o miglioramenti qualora ne fosse bisogno. La relativa documentazione appare nei Prolegomeni ma anche, in maniera pił precisa, nell’apparato critico.

Al seminario ha partecipato, oltre alla Dott.ssa Merita Sauku Bruci e al Prof. Italo Costante Fortino, la Prof.ssa Maddalena Toscano, dell’Orientale di Napoli, la quale ha messo in luce l’utilitą della “concordanza” e la sua applicazione al testo di qualsiasi lingua.

La Toscano in primis ha spiegato alcuni aspetti particolari del funzionamento del programma “Concordance” che č consigliato per la sua flessibilitą e adattabilitą.

Nel caso specifico dell’albanese č stato ricordato che, dopo avere risolto il problema dei riferimenti dei singoli lemmi che devono essere dati al programma per l’elaborazione automatica di gran parte del materiale preso in esame, necessita un intervento manuale per la lemmatizzazione delle forme e un parziale intervento relativo alla sistemazione  dell’ordine alfabetico.

La Prof.ssa Toscano ha affermato, infine, che la codificazione finale della concordanza relativa al romanzo “Sofia Cominiate” č opportuno eseguirla nel “CILA”, il Centro e Laboratorio linguistico dell’Orientale, bene attrezzato e autorizzato all’uso del programma “Concordance”.

In tal modo l’edizione critica, che prende in considerazione anche la concordanza, diventa un contributo alla lessicografia e la base per ulteriori studi sulla lingua dell’autore.

 

NAPOLI – Seminar pėr Filologjinė

 

Mė 30 qershor 2010, nė njė nga auditoret e Departamentit tė Studimeve tė Europės Lindore tė Universitetit tė Napolit “L’Orientale”, u zhvillua njė seminar mbi “Kriteret e filologjisė moderne dhe konkordancat”.

Katedra e Gjuhės dhe Letėrsisė shqipe e kėtij universiteti, organizatore e seminarit, prej vitesh punon nė lėmė tė studimit dhe botimit tė veprave tė pabotuara e tė rralla, pėr tė krijuar njė korpus tė plotė tė veprave letrare nė botim kritik. Si shtysė pėr tė organizuar njė seminar tė tillė shėrbeu pėrgatitja pėr botim e veprės nė arbėrisht tė Frangjisk Anton Santorit me titull “Sofia Cominiate”, pėrgatitur nga Dr. Merita Sauku Bruci, e Institutit tė Gjuhėsisė dhe Studimeve Letrare  tė Qendrės sė Studimeve Albanologjike nė Tiranė.  

Pas kėrkimeve dhe punėve pėrgatitore lidhur me gjetjen dhe grumbullimin e dorėshkrimeve dhe kopjeve tė tjera qė gjenden nė biblioteka publike e private, si Biblioteka Qytetėse e Kozencės, Biblioteka Mbretėrore e Kopenhagenit, Arkivi i Shtetit (Tiranė), dhe pas pėrshkrimit tė dorėshkrimeve tė bėra me kujdes dhe hollėsi, Dr. Merita Sauku Bruci, ka vijuar me shqyrtimin e plotė tė veprės, tuke u mbėshtetur si nė tekstin origjinal tė shkruar nė arbėrisht, ashtu edhe nė pėrkthimin nė italisht tė bėrė nga vetė autori.

Pasi ka saktėsuar vlerat e fonemave tė paraqitura me shenja grafike tė krijuara nga vetė Santori, pėrgatitėsja e botimit ka kryer transkriptimin e tė gjithė tekstit nė arbėrisht, duke pėrdorur alfabetin e Manastirit, me kujdesin dhe rregullimet e duhura. Njė studim i gjerė hyrės (Prolegomenat), ku janė vėnė nė dukje forma dhe pėrmbajtja e veprės, paraprin transkriptimin e tekstit. Ēdo veprim dhe ēdo ndėrhyrje nga ana e Brucit, ėshtė shpjeguar dhe dokumentuar me kujdes, po kėshtu edhe nė rastet kur kemi tė bėjmė me gabime tė pavullnetshme tė vetė autorit (lapsus calami) ėshtė dhėnė sinjalizimi i duhur pėr koregjimet e formės qė konsiderohet si e gabuar. Kjo u lejon filologėve tė tjerė qė tė kenė njė kuadėr tė plotė dhe tė dokumentuar tė ndėrhyrjeve tė kryera nga pėrgatitėsja e botimit, si edhe tė thellohen apo tė pėrmirėsojnė njė punė tė tillė nesė del e nevojshme.

Nė seminar pėrveē Dr. Merita Sauku Bruci dhe prof. Italo Kostante Fortino mori pjesė edhe prof. Maddalena Toscano, e “L’Orientale”-s sė Napolit, e cila vuri nė dukje nevojėn e “Konkordancave” nė njė botim kritik si dhe larminė e pėrdorimit edhe nė fusha tė tjera tė studimit apo pėr tekste tė gjuhėve tė ndryshme.

M. Toskano sė pari shpjegoi disa aspekte tė veēanta tė funksionimit tė programit “Concordance”, qė ėshtė i kėshillueshėm pėr vetė fleksibilitetin dhe pėrshtashmėrinė qė ka.

Nė rastin e gjuhės shqipe u tėrhoq vėmendja, se pasi tė jetė zgjidhur problemi i referimeve nė tekstin origjinal tė secilit pėrdorim tė njė leme tė caktuar, pas pėrpunimit kompiuterik tė tekstit tė dhėnė, nevojitet edhe njė ndėrhyrje e pėrgatitėsit tė botimit, pėr lematizimin e formave dhe renditjen alfabetike sipas alfabetit tė shqipes.

Prof. Toskano rekomandoi sė fundmi, qė kodifikimi pėrfundimtar i konkordancave tė romanit “Sofia Cominiate” tė bėhet pranė “CILA” (Qendra dhe Laboratori i kėrkimeve gjuhėsore tė Universitetit “L’Orientale), e cila ėshtė e mirėpajisur dhe e autorizuar pėr pėrdorimin e programit “Concordance”

Kėshtu qė botimi kritik, i pajisur edhe me konkordancat e veprės, shėnon njėkohėsisht edhe njė kontribut pėr leksikografinė dhe njė bazė tė mirė pėr studime tė mėtejshme tė gjuhės sė autorit nė fjalė.   

 

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pubblicato il 10 luglio 2010

Zėmi e sėcrumė turismo na arbėresh ?

di Atanasio Pizzi


I paesi arbėreshe, approssimati sia nelle descrizioni storiche e sia nella logica
cronologica con cui si sono sviluppati, non sono mai stati conservati o recuperati
con le dovute precauzioni, pur caratterizzati da antiche tradizioni che
sapientemente i nostri avi ci avevano lasciato in ereditą.


Credo che interventi di mera “annotazione storica” possano al pił conservare
ricordi documentali del vissuto; si deve salvaguardare fisicamente le attuali
presenze architettoniche, preservandole dal decadimento e dalle loro recenti o
future manomissioni, causate da interventi di manutenzione inconsapevoli dello
spessore storico e culturale in essi contenuto, ancor oggi abbarbicato.


Il lavoro di raccolta degli elementi della storia dei luoghi, quasi sempre eseguite
da personaggi non titolati, quindi, privi di quel bagaglio che si acquisisce con il
titolo rivestito, rende la lettura delle notizie pervenute errata, a cui segue quella
della progettazione del bene culturale, che nella gran parte dei casi ha indotto in
errore i tecnici.
Ciņ ha prodotto un processo di degrado che porta ad accentuare le emergenze
architettoniche, le quali perdono il loro aspetto, il valore e la connotazione storica;
dovute a progetti inopportuni e/o inappropriati inconsapevoli della valenza storica
che essi hanno rivestito in ambito delle comunitą arbėreshe.


Si tratta quindi di rileggere le annotazioni errate e reinterpretarle al fine di dare
una lettura logica e quindi, in seguito utilizzarle per consentire di mantenere viva
la presenza fisica in continua evoluzione.
E’fondamentale dunque far riaffiorare la conoscenza storica dalle preesistenti;
riconnettere tra di loro le maglie della vita trascorsa e di quella attuale e futura,
utilizzando tutti i metodi e percorsi del restauro e della progettazione
architettonica in senso lato.


L’elemento architettonico, in questo caso, salvaguardato potrą offrire occasione e
palestra nel tentativo di riportare nella esperienza dell’attuale quotidianitą radici
di vita che tendono purtroppo a seccarsi o a perdere di leggibilitą e di
connotazione.
Si prova a proporre i paesi arbėreshe nei percorsi turistici internazionali, senza
costruire un’offerta adeguata, che scaturisca da un lavoro certosino di ricerca e di
ricostruzione dei luoghi, seguendo una logica entro la quale ogni paese di
Calabria Citra abbia la sua precisa collocazione in un circuito storico-turistico,
ove ogni palazzo, casa, strada, piazza o gjitonia descriva e proponga luoghi
caratteristici e unici dei paesi arbėreshe, rappresentativi di un logico itinerario
turistico.

 

Il turismo non deve essere inteso come occasione per proporsi come culle di
letteratura o di patriottismo e di tradizioni; ogni paese raccolga e metta sul tappeto
la propria storia, in modo che tutti i paesi di etnia arbėreshe possano mettere in
luce i propri eroi o letterati, secondo le sequenze della storia di Calabria Citra.
Il futuro si costruisce con le regole e pianificazioni programmatiche precise, la
perfetta conoscenza delle proprie radici, tenendo presente la storia di tutti i paesi
arbėreshe di Calabria Citra, senza protagonismi, fornendo di ogni comunitą la
giusta valenza.


Pianificando la crescita e creando le idonee strutture ricettive e attrattive si puņ
incrementare il turismo, per esempio la riproposizione dei vecchi catoi o le case
con la tipica logetta, proponendo cosi un modo alternativo di trascorrere una
vacanza, immersi nel mondo delle tradizioni arbereshe.
Oggi purtroppo si da prioritą alla metanizzazione, alle pavimentazioni, alla
segnaletica stradale o apposizione di assurdi cromatismi, si modifica
irreparabilmente il valore urbanistico-architettonico dei nostri paesi; sventrati,
modificati e invasi da colate di cemento per veicolarizzarli a tutti i costi.


Cosi perdono ogni giorno la loro integritą urbana, assomigliando sempre di pił a
villaggi turistici, ove ogni cosa non appartenendo al territorio ma riportata o
ispirata da altri contesti, diventa sempre pił scenario di pura finzione.
Vanno dunque individuati i soggetti titolati e quelli istituzionali ai quali
sollecitare iniziative utili per la rivalorizzazione dei paesi dove la cultura
arbėreshe ha trovato la sua massima espressione.


Gi interventi dovranno costituire sostegno per la formazione di un nuovo tessuto
di programmazione col quale mantenere in vita cultura e rapporti sociali,
esperienze di vita che riescano a testimoniare il passato dando continuitą nel
presente e cosi una offerta seria al turismo.

 

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pubblicato il 12 luglio 2010

 

IL SANGUE ALBANOFONO DIMENTICA LE PROPRIE ORIGINI? Gjaku i Shprishur u Harrua.

 

di Atanasio Pizzi

 

La manifestazione folkloristica atta alla valorizzazione della comunitą albanofona, fu pianificata e di seguito realizzata a partire dal 10 maggio 1959, otto giorni dopo la festa del 2 Maggio in onore a Sant’Atanasio il Grande, (l’ottava di Sant’Atanasio).

I padri fondatori a cui va rivolto il nostro affettuoso ricordo, sono stati: il segretario comunale A. Bugliari, l’allora parroco rev. Giovanni Capparelli ed il tesoriere comunale T.C. Miracco; sapienti cultori delle tradizioni arbėrėshe, seppero imprimere alla manifestazione una doppia valenza, quella di ricercare, valorizzare e promuovere le tradizioni arbėrėshe, renderle note a tutti e far rientrare la comunitą albanofona nei circuiti turistici a quei tempi in ascesa.

L’entusiasmo di tramandare le tradizioni e riuscire a farle travasare alle nuove generazioni era tale che loro stessi fungevano da ricercatori, coreografi e autori, le danze, le cantate venivano rifinite a tal punto che all’interno dell’etnia albanofona erano facilmente riconducibili alla comunitą Sofiota.

Ore di sapienti prove eseguite sul terrazzo della canonica, a quei tempi non avvolta dalla orrenda copertura, ove canti, danze e movenze di vita quotidiana venivano eseguite sino a raggiungere la perfezione, mettendo in particolare evidenza la parlata e il bellissimo costume femminile Sofiota.

Il ricordo va alle innumerevoli manifestazione nel corso delle quali i gruppi folkloristici si riconoscevano dalle cantate e dai costumi caratteristici femminili, era facile sentire nelle conversazioni del folto pubblico che riempiva piazza Sant’Atanasio, la frase: ndrģ!!………. ką jąn kėtą!,…………….. sąt kėndņnjėgn kėshtł jąn Shimitrņt!!,

Altro elemento focalizzante la manifestazione rappresentava la partecipazione di eminenti personaggi, politici, militari e religiosi che con la loro partecipazione rendevano completa sotto ogni aspetto la manifestazione.

Le edizioni dell’ottava di Sant’Atanasio sono state sempre espressione del tempo e degli eventi che hanno accompagnato l’Italia tra gli anni sessanta agli anni novanta, ma nella prima metą di questo ultimo decennio la ricerca delle vecchie tradizioni e di ciņ che aveva caratterizzato l’infanzia delle generazioni nate nel ventennio precedente divennero motivo di culto e di arte da valorizzare.

Si rindossarono, senza garbo, gli antichi costumi arbėrėshe, si rielaborarono vecchie e famose melodie ritenendole, a torto, non pił adeguate ed autoctone.

Nuovi canti, nuove danze, nuove rivisitazioni, che sono un cumulo di manipolazioni che non ci appartengono e che vengono erroneamente attribuite alla nostra tradizione.

Adeguandosi meccanicamente a quel processo che ideologicamente tutti cercano di combattere, ma i fatti ogni giorno li smentiscono e li avvolgono in quel calderone irreale, che si identificano nella cosiddetta Globalizzazione.

Allora potrebbe succedere che, canti, balli e musica di pił gruppi folkloristici contengano le stesse melodie e sonoritą, appiattendo cosģ il valore delle manifestazioni, puņ accade che un gruppo proveniente dalla madre patria Albania porti le stesse sonoritą e le stesse cadenze musicali di un paese arbėrėshe, si potrebbe pensare che le sonoritą siano state conservate per pił di 500 anni, ma purtroppo non č cosģ, la realtą č molto pił banale.

Gjaku i Shprishur s’u Harrua una frase che quando veniva stesa a quinta del palco, oggi potrebbe accadere  che non viene pił esposta, suscitava orgoglio di appartenere ad un etnia di cosģ antica discendenza, quel brandello di stoffa color porpora, cucito con tanta passione da Suor Melania e le sue consorelle, scandiva come un raffinato orologio il tempo, ricordandoci che il meraviglioso mondo d’arberia viveva ancora.

Il Bugliari, il Capparelli ed il Miracco, armati di sola passione e poche possibilitą logistiche seppero dare vita alla manifestazione per la quale si identificano valori comuni.

 

Non c’č una generazione, nata all’interno del cinquantennio appena trascorso, che non sappia intonare alla parlata Sofiota,  moj e bukura moree, copille moj copille, doit ishia…, rč flamuri ecc.,ecc.; cantate che sarebbero state perse o rievocate chissą come, se non ci fossero state preservate da quelle le tre pietre miliari, rilanciandole a modo e dare logica continuitą alla espressione canora arbėrėshe.

Tutte le cose hanno un inizio uno svolgimento ed una fine, anche questa a quanto pare volge al suo destino, non aggiungo naturale destino alla frase, perche cosģ non č; se la manifestazione non viene preparata con adeguata professionalitą e al suo interno non vengono riversate nuove esperienze fornite dai tanti esperti del settore, i quali irragionevolmente e poco sapientemente vengono messi da parte da ignoti personaggi, i quali al rilancio della propria comunitą preferiscono l’oblio.

Nella Cinquantesima edizione della Primavera Italo-Albanese non si č riusciti a produrre “l’edizione dorata“ atta a segnare il traguardo raggiunto, sarebbe stato assurdo pensare ad una mostra rievocativa, o complicato parlare di questo evento in una serie di dibattiti, o addirittura la pubblicazione di un volume rievocativo, ove attraverso immagini e pochi testi si potesse rileggere le varie edizioni ed i personaggi che si sono alternati sino ad oggi.

Perņ commetto un errore, dimenticavo che non esistono foto, non esistono documenti, non esistono fratelli, nessuno possiede nulla e niente, consapevoli che il poco di ognuno potrebbe fare la storia di tutti e la ricchezza mirata di pochi eletti, ne consegue che i progetti sopra citati sarebbero stati un’impresa quasi impossibile da realizzare.

Disfare č stato sempre molto semplice, i terremoti, i tradimenti, si dissipano in un battito di ciglia, distruggono intere vite di sacrifici e buoni intenti, basta un attimo e tutto finisce; quel poco che rimane diventa il brandello su cui ricostruire la propria identitą, Bugliari, Capparelli e Miracco hanno saputo costruire un ideale ove riconoscersi, sta a noi dargli continuitą coinvolgendo sani e capaci protagonisti.    

 

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pubblicato il 12 luglio 2010

 

SAN LORENZO DEL VALLO

Il Mediterraneo tra la cultura Illirica  e il ceppo Greco – latino

 

di Pierfranco Bruni

  

      Storia e ricerca linguistica costituiscono elementi significativi per una interpretazione di quel valore etnologico che caratterizza molte realtą territoriali della Calabria. Il caso di San Lorenzo del Vallo č emblematico. A neppure un chilometro da Spezzano Albanese l’attuale lingua č l’italiano ma ci sono ceppi che hanno rimandi alla cultura Italo – Albanese oltre che a quella grecanica.

Lo studio sulle origini di San Lorenzo del Vallo presenta approfondimenti che vanno nella direzione che pongono al centro le identitą greco – romane di questa comunitą ma c’č una forte componente (storica, culturale e di visioni geo –ambientali) che rimanda ancora una volta ad una tradizione Italo – Albanese. Pił volte č stato sottolineato ciņ (anche di recente in alcune mie pubblicazioni) e in pił circostanze l’analisi  avvalora questa tesi.

La componente Arbereshe di San Lorenzo del Vallo č una testimonianza che trova la sua “giustificazione” non solo in un apparato linguistico (alcuni cognomi, alcuni elementi toponomastici) ma anche in una con testualitą storica che mostra una griglia di dati che consolidano una matrice “orientale” nella storia di San Lorenzo.

      Il territorio č sempre una chiave di lettura per capire la storia e per definire linee progettuali per il futuro. Voglio portare un esempio di un piccolo paese calabrese: San Lorenzo del Vallo in provincia di Cosenza. Un paese sradicato da una temperie storica ma che "nasconde" risorse ed energie proprio sulla base di una conoscenza appropriata delle sue identitą. Il contesto che č stato Magna Grecia č dentro quel territorio che č stato definito Arberia. Le infiltrazioni illiriche nel linguaggio sanlorenzano portano ad una chiave di lettura di una precisa valenza greco – romana ma la cultura spagnola (che č il portato, al di lą dei conflitti che si sono verificati in tutto il Regno di Napoli) ha lasciato segni tangibili.

      Il XV secolo č il secolo delle immigrazioni. Scanderbeg che moriva nel 1468 era stato un baluardo cristiano contro gli Ottomani, ovvero contro i Turchi. E i Turchi, come dice una leggenda, che arrivano dal mare diventano il vero spauracchio per quelle comunitą che avevano, in modo particolare, ospitato i primi profughi albanesi. San Lorenzo non ospita i profughi albanesi (ciņ č da chiarire) ma gli albanesi formano un loro luogo di accasamento proprio sul territorio di San Lorenzo e i conflitti con Alarcon Mendoza creano successivamente una ulteriore diaspora. San Lorenzo č stato un paese Arbereshe: non ci sono dubbi.

      “Sullarenxa”. I primi arrivi degli albanesi risalgono circa al 1479 e questo gruppo resta compatto quasi sino al 1517. Una data indicativa importante perché č proprio da questa temperie che si verificano ulteriori migrazioni. Ciņ č stato discusso di recente anche a Roma nel corso di un convegno nel quale ho evidenziato questa tesi. In una prossima occasione (si svolgerą a Taranto un seminario di studi sulle comunitą che hanno perso l’etnia arbereshe originaria)  avanzerņ proprio l’esempio di San Lorenzo del Vallo). Ecco perché č necessario non trascurare questi elementi ma occorrono dei confronti seri, articolati e maturi.

      Certo di San Lorenzo si parla spesso del castello, giusto ma anche questo non lo si potrą pił disgiungere da una continuitą di testimonianze storiche. Il castello di San Lorenzo della Vallo č una presenza storica visibile ma ci sono altri elementi che rimandano ad un contesto archeologico le radici vere di questa comunitą.  San Lorenzo del Vallo, comunitą nel contesto territoriale della Magna Grecia, č stato un paese italo - albanese con delle testimonianze certe che vanno riconsiderate anche sul piano storico. Lo si afferma, appunto, nel mio  saggio dedicato a San Lorenzo del Vallo e alle sue radici, come ho appena sottolineato.

      Infatti storia e raccordi archeologici sono alla base delle radici e dei codici identirari di un paese come San Lorenzo del Vallo. Un centro  che rientrava nella Chora della Magna Grecia. Si narra che San Lorenzo del Vallo fu un Feudo successivo degli Alarcon e dei Pescara. Alarcon fu un navigatore spagnolo nato intorno al 1500. Il fiume che attraversava i territori dell’area geografica comprendente S. Lorenzo era chiamato Tearo. San Lorenzo del Vallo ha assorbito dei processi che hanno avuto una valenza storica su tutto il territorio. La presenza degli albanesi in Calabria e nel Sud, comunque, andrebbe verificata storicamente  gią a partire dal contesto archeologico, come d’altronde stiamo cercando di fare. C'č una continuitą di  modelli archeologici che legano la Magna Grecia al mondo illirico e greco. Non per caso la maggior parte dei casali Arbereshe ha occupato e occupa prevalentemente quei territori che sono stati riferimenti fondamentali nella temperie magno greca.

      Testimonianze archeologiche illiriche e greche sono presenti in gran parte dei contesti territoriali del Sud. Ciņ avvalora la tesi di un rapporto significativo tra la Calabria e l'Albania molto prima della venuta migratoria albanese in Italia nella contestualizzazione scandaberghiana. Non bisogna dimenticare, proprio per questo, a tal proposito la stagione italo – albanese di San Lorenzo del Vallo. E’ stata una delle prime comunitą Arbereshe. Una delle prime comunitą che ha ospitato gli albanesi ed ha creato un fulcro che ha poi realizzato una proiezione su tutto il circondario.

      La nascita di Spezzano Albanese deve molto a San Lorenzo del Vallo. Le sue radici greche, comunque, sono un segno tangibile. Come č un dato tangibile l’imponenza del castello perché in esso ci sono i modelli di un processo che ha attraversato quasi tutta la Calabria. San Lorenzo del Vallo č stato un punto di riferimento sia sul piano archeologico sia sul piano pił strettamente storico.

      Ho sempre sostenuto l’importanza di dare consapevolezza a un dialogo stretto tra le identitą pre -greche, quelle greche e quelle romane e le epoche e le civiltą successive. Ci sono, in San Lorenzo del Vallo, rigurgiti Arabi con i quali tuttora occorrerebbe fare i conti. Il castello sembra raccogliere, attraverso le sue forme e quelle incisioni storiche, tutti quegli elementi che hanno condensato un viaggio all’interno di un mosaico di civiltą. I modelli archeologici, l’epoca tardo medioevale, l’etą Arbereshe, la partecipazione ai documenti illuministi e risorgimentali costituiscono quell’assetto del territorio non solo in termini urbanistici ma anche profondamente culturali.

      Il materiale riferito alla Necropoli arcaica con corredo di tipo siculo qui ben documentato. Lo scritto di Paolo Orsi, apparso su “Notizie Scavi” del 1902, č un documento che avvalora una San Lorenzo archeologica vitale nella storia della Calabria. Le immagini dei reperti, come descritti da Paolo Orsi, recuperati nelle tombe č una dimostrazione emblematica.

      Significativo č il ripostiglio di denari repubblicani romani rinvenuto in contrada Masseria. L’autore di questo saggio č Giuseppe Procopio. Il testo analitico č apparso su “Notizie Scavi” del 1952. Qui si ripropone la lettura nella cronologia di E. Babelon alla quale si affianca, contrapponendosi, quella di H.A. Grueber.

      Il lavoro finora portato avanti prosegue con l'analisi del saggio di Gennaro Pesce che ha studiato le Arule rinvenute in San Lorenzo del Vallo. L’articolo č apparso sul “Bollettino d’Arte” del 1935. Nello studio gią pubblicato e si sta approfondendo c’č, inoltre, un capitolo sulla nascita del castello. E’ uno spaccato che evidenzia alcune suggestive immagini della storia del castello. Un itinerario che si inquadra in una visione pił generale inerente la storia di San Lorenzo del Vallo. Archeologia e storia, dunque, sono un intreccio che custodisce risorse e vocazioni. Un patrimonio che č un bene culturale.

       L'albanesitą resta, comunque, un nodo che apre un dibattito a tutto tondo sulla presenza di questa civiltą gią da tempi remoti. Perché la storia senza una visione etno - archeologica non č “spiegabile” e non č inquadrabile in una dimensione di comprensione territoriale. Il caso di San Lorenzo č di straordinario impatto in una impostazione di verifica sul territorio.

      Alla base della presenza di strutture e manufatti ci sono modelli di civiltą, i quali hanno permesso di dare una visione interpretativa ad un paese. La stessa chiesa di Santa Maria delle Grazie ha una origini i cui richiama orientali non sono da trascurare. Quanti paesi albanesi hanno tuttora una chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie? Un interrogativo sul quale stiamo riflettendo, ma tra territori della Magna Grecia e geografia Arbereshe c’č un legame che non va trascurato perché č nei codici di un passaggio tra archeologia e storia che si dą senso alla vera identitą di una comunitą. I due aspetti quello illirico e quello greco – latino sono manifestazioni di un contesto territoriale e storico ben calato nelle radici Mediterranee.

 

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pubblicato il 12 luglio 2010

Gjitonia e riqualificazione urbana

 

di Atanasio Pizzi

 

E’ apparso sul sito “Jemi” un articolo che fa parte delle notizie che giungono da San Demetrio Corone, in cui viene descritto il progetto di riqualificazione di Vico V Dx Via Caminona, ora Piazza del Popolo.
Esso sia nella descrizione del contesto e di conseguenza nel progetto, evidenzia grossolani errori.
Fondamenta su cui si basa un buon progetto di riqualificazione urbana, sono rappresentate dalla storia di quel sito e la perfetta integrazione con l’etnia in oggetto, senza lacune di alcun tipo.
Un elemento cosģ caratterizzante per i paesi arbereshe, la “gjitonia”, non puņ essere datata grossolanamente al XIX secolo, infatti č opportuno sapere che i palazzi nobiliari nei paesi arbereshe venivano edificati all’interno della gjitonia quando questa gią esisteva.
L’evoluzione edificatoria per le etnie arbereshe avviene intorno alla metą del 1500, il tugurio di paglia e terra veniva sostituito in manufatti di pietra legata da impasti di argilla, aventi copertura in coppi.
Essi consistevano in due ambienti dipendenti l’uno dall’altro, il primo con la porta di accesso direttamente sulla strada o piazzetta, mentre il secondo completamente buio dipendeva dal primo, identificati come Catoi sono la base dei modelli aggregativi edilizi delle comunitą arbereshe.
In questa fase la famiglia (il clan) tipica arbereshe subisce una rilevante evoluzione, ogni nucleo familiare realizza la propria abitazione pur dipendendo sempre le une dalle altre.
Divenuto il Catoio abitazione di ogni singola famiglia viene aggregato spontaneamente secondo i dettami dell’orografia circostante e in questa fase, molto importante, prende corpo la gjitonia, dove il clan non vive pił in un unico ambiente ma in una serie di catoi costruiti in aderenza l’uno con l’altro, il cui elemento aggregativo comune diveniva scesci.
Nel corso del 1700 quando le possibilitą economiche migliorano, il catoio si evolve, infatti esso viene realizzato in muratura costituita di pietra, listata in mattoni, il cui legante era calce mista a sabbia, il tetto era costituito da travi di castagno e doppia regola di coppi.
Ai primi decenni del 1800 quando il declino dei principati porta alcune famiglie ad acquisire consistenti appezzamenti di terreni e il conseguente miglioramento delle possibilitą economiche; vengono edificati i cosģ detti palazzi nobiliari i quali, chiaramente, vengono costruiti all’interno di questi sistemi aggregativi del 1500.
Se i presupposti per realizzare un progetto partono da considerazioni storico-urbanistiche valide, si gettano basi solide per poter far rivivere i valori sociali della gjitonia, altrimenti le scelte progettuali diverranno un luccicante elenco di prodotti Hi-tech che possono anche colpire la fantasia dei profani, ma nella realizzazione pratica diventano motivo di delusione e faziositą.

 

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pubblicato il 13 giugno 2010

 

Giorgio Castriota Scanderbeg: la storia e l’immagine - Convegno internazionale a Durazzo

 

Il 28 maggio 2010, nella sala delle conferenze dell’hotel “Adriatik” a Durrazzo, l’Universitą “Marino Barlezio” e il Centro di Studi Albanologici  di Tirana hanno organizzato il convegno internazionale  “Giorgio Castriota Scanderbeg: la storia e l’immagine”.

I relatori hanno trattato varie problematiche storiche, riguardanti il contributo delle famiglie feudali albanesi (S. Daci), le relazioni di Scanderbeg con Alfonso d’Aragona di Napoli (P. Xhufi), i rapporti di Scanderbeg con la Republica di Venezia (L. Nadin), la lotta di Scanderbeg e i territori orientali albanesi (F. Duka), il contesto nazionale e religioso durante la guerra di Scanderbeg (M. Malaj), l’origine dell’insurrezione di Scanderbeg (D. Egro).

Segnaliamo la relazione del prof. C. Italo Fortino, dell’Universitą di Napoli “ L’Orientale”: La figura di Scanderbeg nell’opera poetica di Luis de Rosa., che č stata seguita con interesse.

Il relatore ha sottolineato che le creazioni poetiche arbėreshe d’oggi, relative alla figura di questa grande personalitą storica, avvolta nel mito per le sue azioni eroiche e per il ruolo straordinario giocato dentro e  fuori i principati arbёreshё, attingono ispirazione alla tradizione popolare, di cui la pił importante e pił significativa rimane quella che si ripete come rito dell’origine, in occasione delle “Vallje”, il martedi dopo Pasqua, oggi solo in alcuni paesi arbėreshё, mentre un tempo in tutte le comunitą arbėreshe dell’Italia meridionale.  

Per un giorno intero, il martedi dopo Pasqua, per le vie del paese si cantano le rapsodie del ciclo di Scanderbeg, di cui la pił nota č  “E Skanderbeku njё menat”, che ripropone la vittoria del Castriota contro Ballaban Pasha e i turchi.

D’altro canto, oltre alla tradizione orale, anche quella scritta ci aiuta a capire meglio come si č depositata nell’immaginario popolare la figura di Scanderbeg. In questo senso un ruolo rilevante hanno svolto alcuni autori del passato che hanno scritto di Scanderbeg, quali Marino Barlezio con l’opera Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis (Roma 1508/1510), Gian Maria Biemmi con l’Historia di Giorgio Castriotto detto Scanderbeg (Brescia 1742¹, Brescia 1756²), F. Sansovino con  Dei fatti illustri del Signor Giorgio Scanderbegh (Venezia 1568), Laonico Calcondila, conosciuto per l’opera Historiarum de origine ac rebus gestis Turcorum libri X (pubblicazione postuma, Frankfurt 1574),  il Papa Pio II - Enea Silvio Piccolonimi –  con l’opera Commentarii Rerum memorabilium (Roma 1584), Giovanni Sagredo con Memorie Istoriche de’ Monarchi Ottomani (Venezia, 1679), Niccolņ Chetta con la sua opera Tesoro di notizie su de’ Macedoni (pubblicata postuma, 2002). Quindi il prof. Italo C. Fortino, che ha pubblicato di recente l’editio princeps (2008) del poema Ndihmja e Krojёs scritto nel 1857 da Giuseppe Angelo Nociti, ha inteso sottolineare l’importanza delle raspodie raccolte e pubblicate da Girolamo De Rada nel 1866 dal titolo Rapsodie d’un poema albanese. L a raccolta contiene, tra l’altro, un ciclo dedicato a Scanderbeg: Hajin buk si di vёllezёr, che parla di Milo Shini e Scanderbeg, Mbjodhi Krōj Skanderbeku, sulle nozze di Scanderbeg, Vū spёrvĭeret Skandёrbeku, sul tradimento di Ballaban, Menatet kurna u nisё, che parla dei consigli di Scanderbeg a suo figlio Giovanni rima dir trasferirsi in Italia, Shkoi njё dit’ mĭegullore, che tratta della morte di  Scanderbeg “i pafān” (disavventurato) il quale “s’ёsht mёŪ” (non c’č pił).

Dopo questo panorama, il prof Fortino si č soffermato in particolare sulla raccolta di poesie Lule nё gjёmba, (Reklama, Tiranё, 1997) del poeta arbėresh contemporaneo Luis De Rosa di Ururi, (Campobasso). Questa raccolta contiene anche un poemetto intitolato Gjuha, i sprasmi thesar, dedicato a Scanderbeg.

Dal punto di vista antropologico lo possiamo definire, ha precisato il relatore, come una poesia delle origini, che trova nella terra-Arbėria degli avi l’inspirazione poetica:

O terra, un dģ dei padri, / o terra, mai pił vista, / o terra, ricordata bella, / concedimi l’estro poetico, / fammi sciogliere un canto ai consanguinei.

Il poemetto di De Rosa č un richiamo ai giovani arditi arbėreshё, ai cristiani per liberare l’Arbėria dal giogo dei turchi; ma č sopratutto l’appello indirizzato a Scanderbeg, - Thёrresmi Gjergjin prapa oppure Gjergji tё na vijё prapё e, infine, il verso decisivo Biri madh na erdhi prapa, - perché abbandoni l’esercito turco per rientrare in Arbėria ad organizzare l’insurrezione.

Il poeta Luis de Rosa  fa appello all’orgoglio, uno degli elementi pił importanti nella struttura antropologica della personalitą dell’uomo arbėresh. Il carattere dell’orgoglio si rivela come la base indispensabile per affrontare il momento pił rischioso e decisivo nella storia dell’Arbėria, quando sono in gioco la libertą, la patria, e lo stesso orgoglio patriottico. Nel nome della libertą e della terra si sollevano non solo i prģncipi, ma anche la terra, tutta la natura dell’Arbėria

Cime e terre d’Albania, / boschi e dirupi di Mavra, / quando udirono Marco Topia, / tutti si levarono, / tutti pronti / un desiderio avevano: la libertą.

Per il prof. Fortino, il poeta Luis de Rosa, nelle sette scene presenti nel poemetto “Gjuha, i sprasmi thesar”, con l’appello alle personalitą storiche, Diocleziano,  Costantino e Giustiniano, considerati come Prindёrat e mёdhenj tё tonё, ha concentrato le ragioni fondamentali che hanno spinto prima Giovanni Castriota, e in seguito suo figlio Giorgio, ad intraprendere la guerra contro i turchi.

 

 DURRĖS: Konferencė ndėrkombėtare “Gjergj Kastrioti Skėnderbeu: historia dhe imazhi”

 

Mė datė 28 maj 2010, nė ambientet e hotelit “Adriatik” nė Durrės, Universiteti “Marin Barleti” dhe Qendra e Studimeve Albanologjike tё Tiranёs organizuan konferencėn ndėrkombėtare “Gjergj Kastrioti – Skėnderbeu: historia dhe imazhi”. Kumtuesit  trajtuan problematika historike qė lidhen ndėr tė tjera me kontributin e familjeve feudale shqiptare (S. Daci), marrėdhėniet e Skėnderbeut me Alfonsin e Napolit (P. Xhufi), me Venecian (L. Nadin), luftėn e Skėnderbeut dhe brezin lindor tė tokave shqiptare (F. Duka), kontekstin kombėtar dhe fetar tė luftės sė Skėnderbeut (M.Malaj), mbi origjinėn e kryengritjes sė Skėnderbeut (D. Egro).

Me mjaft interes u ndoq edhe kumtesa e prof. Italo C. Fortinos nga Universiteti i Napolit “L’Orientale”: Figura e Skёnderbeut ne veprёn poetike tё Luis De Rosa-s.

Prof. Fortino theksoi se burimet e frymėzimit tė poezisė sė sotme arbėreshe, qё ka pёr argument figurёn e kёtij personaliteti historik, i mbёshtjellё nga miti i shkaktuar nga bёmat trimёrore dhe nga roli i jashtёzakonshёm qё Skёnderbeu luajti brenda dhe jashtё principatave arbёreshe, mbetet tradita gojore, ndėr tė cilat mė e fuqishmja dhe mė kuptimplota ёshtё, patjetёr, ajo qё ēdo vit pėrsёritet si njё rit i origjinёs dhe qё zhvillohet me rastin e “Valleve”, tё martёn pas Pashkёve, sot vetёm nё disa katunde arbёreshё, ndёrsa nё fillim nё tё gjithё katundet arbёreshё tё Italisё sё Jugut.

Pёr njё ditё tё tёrё – tё martёn e Pashkёvet – me “Vallet” qё  zhvillohen ndёpёr udhat e katundit kёndohen rapsoditё e ciklit tё Skёnderbeut – mё e njohura e tё cilėve ёshtё ajo qё fillon me vargun “E Skanderbeku njё menat” – qё kujton fitoren e Kastriotit kundёr Ballabanit dhe Turqёvet .

Tradita e shkruar, sipas kumtuesit, pėrpos asaj gojore, na ndihmon pёr tё kuptuar se si ёshtё depozituar nё imagjinatёn popullore figura e Skёnderbeut. Nё kёtё drejtimi njё roll tё rёndёsishёm kanё pasur disa autorё tё sё kaluarёs qё kanё shkruar pёr Skёnderbeun, si Marin Barleti me veprėn Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis (Romё 1508/1510), Xhan Maria Biemmi me veprёn Historia di Giorgio Castriotto detto Scanderbeg (Brescia 1742¹, Brescia 1756²), F. Sansovino me Dei fatti illustri del Signor Giorgio Scanderbegh, Venezia 1568), Laonik Kalkondila, i njohur pёr veprёn Historiarum de origine ac rebus gestis Turcorum libri X (botim postum, Frankfurt 1574), si edhe Papё Pius-i II - Aeneas Sylvius Piccolonimi –  me veprёn Commentarii Rerum memorabilium (Romё 1584),  Xhovani Sagredo me Memorie Istoriche de’ Monarchi Ottomani (Venezia, 1679), dhe Nikollё Keta, me veprёn e tij, Tesoro di notizie su de’ Macedoni (botim postum, 2002).

Pastaj prof. Italo Fortino, qė ka botuar pėr herė tė parė mė 2008 poemėn Ndihmja e Krojёs  shkruar nė vitin 1857 nga Xhuzepe Anxhelo Noēiti, nuk la pa theksuar rёndёsinё e pёrmbledhjes sё botuar  nga Jeronim De Rada nё 1866 me titull Rapsodie d’un poema albanese. Kjo tufё me rapsodi formon njё cikёl me vete  kushtuar pikёrisht Skёnderbeut: Hajin buk si di vёllezёr, qё flet pёr Milo Shinin e Skёnderbenё, Mbjodhi Krōj Skanderbeku, pёr martesёn e heroit, Vū spёrvĭeret Skandёrbeku, pёr trathtinё e Ballabanit, Menatet kurna u nisё, qё flet pёr kёshillat e Skёnderbeut tё birit Gjonit  pёr tё shkuar nё Itali, Shkoi njё dit’ mĭegullore, qё flet pёr vdekjen e Skёnderbeut, “i pafān” i cili “s’ёsht mёŪ”.

Pas kėsaj tabloje paraqitėse, prof. Italo Fortino u ndal nė mėnyrė tė veēantė nё pёrmbledhjen me poezi Lule nё gjёmba, (Reklama, Tiranё, 1997) tė poetit arbёresh bashkёkohor, Luis De Rosa nga Ururi, nё provincёn e Kampobasos nё Regjonin Molize. Kjo pėrmbledhje pёrmban njё poemth me titull Gjuha, i sprasmi thesar,  kushtuar Skёnderbeut.

Nga pikёpamja antropologjike mund ta pёrcaktojmё, theksoi kumtuesi, si poezi tė origjinёs qё gjen nё dheun, nё tokёn-Arbёri tё stёrgjyshёve frymёzimin poetik:

Oj dhé, njё herё tё prindёvet, / oj dhé, kurra mё i dukur, / oj dhé, kujtuor i bukur, / bjem estrin e poezivet / ёm tё i kёndonj gjёrivet.

Poemthi i De Rosёs ёshtё njё thirrje trimave arbёreshё, tё kёrshterёve pёr tё liruar Arbёrinё nga turku, por mbi tё gjitha ёshtё thirrja qё i drejtohet Skёnderbeut: Thёrresmi Gjergjin prapa ose Gjergji tё na vijё prapё dhe, nё fund, vargu vendimtar Biri madh na erdhi prapa  dmth. Skёnderbeu le ushtrinё turke dhe kthehet nё Arbёri pёr kryengritjen.

 Poeti Luis De Rosa prek krenarinё, qё pёrbёn njё nga elementet mё tё rёndёsishme nё strukturёn antropologjike tё personalitetit tё njeriut arbёresh. Karakteri i krenarisё paraqitet si baza e domosdoshme pёr tё pёrballuar momentin mё tё rrezikshёm dhe vendimtar tё historisё sё Arbёrisё, kur janė nė lojė liria, atdheu, dhe krenaria atdhetare. Nё emrin e lirisё dhe nё emrin e dheut ngrihen jo vetёm princat, por metaforikisht ngrihen edhe trolli, natyra e tёrё e Arbёrisё.

Maja e trolle tё Shqipёrisё, / pylla e timba tё Mavres, / kur dёgjojtёn Mark Topin, / gjith u ngren, /  gjith u pёrveshёn / njё dёshir kishёn: lirin .

Pėr prof. Fortinon, poeti Luis De Rosa nё shtatё skenat e pranishme nё poemthin “Gjuha i sprasmi thesar”, me thirrjen personaliteteve historike, Dioklecianit, Kostandinit dhe Justinianit, tё cilёt i konsideron si Prindёrat e mёdhenj tё tonё, ka pёrqendruar arsyet  themellore qё kanё shtyrё mё parё Gjon Kastriotin, dhe mё vonё tё birin Gjergjin, tё ndёrmarrin luftёn kundёr turqve.

 

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pubblicato il 22 maggio 2010

 

Il Kosovo oggi

La situazione politico-culturale negli ultimi 25 anni

 

La Cattedra di Lingua e Letteratura Albanese dell’Universitą “L’Orientale” di Napoli, in collaborazione con il Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale e il Dottorato di ricerca in Culture dell’Europa Orientale, ha promosso una Conferenza scientifica sulla “Situazione politico-culturale del Kosovo oggi”, nell’ambito della Convenzione tra l’Ateneo L’Orientale di Napoli e l’Universitą di Prishtina.

La Conferenza si č tenuta il 20 maggio ed hanno relazionato i Proff. Bardh Rugova, Direttore del Dipartimento di Linguistica dell’Universitą di Prishtina e Lindita Sejdiu, Vice-Preside della Facoltą di Lettere della stessa Universitą.

 

 

Prof. Bardh Rugova: La situazione politico-culturale nel Kosovo.

 

Il prof. Bardh Rugova ha fatto un panorama della situazione politico culturale del Kosovo degli ultimi 25 anni ripercorrendo le diverse fasi di sviluppo attraverso la stampa kosovara e in particolare attraverso l’interpretazione dei quotidiani “Rilindja”, “Bujku” e “Koha Ditore”.

Il relatore ha sviluppato un percorso originale nel quale  ha messo in evidenza, pił che il linguaggio esplicito, quello metaforico dei giornali, quale chiave di interpretazione della realtą.  La stessa realtą in continua evoluzione ha trovato anche nella struttura testuale del racconto giornalistico ora i riflessi di atteggiamenti autoritari, ora totalitari e finalmente liberi e protesi alla responsabilitą sociale. Solo il modello libero e quello della responsabilitą sociale appartengono alle societą democratiche.

Il Kosovo, nella sua giovane storia, in un lasso di tempo abbastanza breve, ha attraversato tutte le fasi e i modelli citati: da Provincia Autonoma della Repubblioca Serba, a entitą con autonomia soppressa, alla costruzione di un sistema parallelo tutto albanese, alla Repubblica Indipendente.

Il quotidiano “Koha Ditore”, nel numero del 17 febbraio 2008, in coincidenza con la proclamazione dell’Indipendenza della Repubblica del Kosovo, segnalava l’evento attraverso un percorso tracciato da alcune parole chiave: stato, libertą, indipendenza, democrazia, responsabilitą sociale  e loro impatto nella vita culturale, un percorso sempre in atto e ancora in divenire.

Perciņ: “Il Kosovo ha avuto una storia travagliata e negli ultimi decenni č passato da una specie ... di indipendenza all’interno della federazione iugoslava, nell’ambito di un sistema totalitario, ad una occupazione nell’ambito di un sistema in apparenza pluralista, ma autoritario; fino all’indipendenza di una democrazia fragile, che sta prendendo piede”.

Il relatore, nella trattazione dei momenti importanti della storia del Kosovo, si č servito dell’analisi fatta dal Presidente Ibrahim Rugova, interpretando la poesia di Ali Podrimia, nella quale individuava una fase dominata dal linguaggio metaforico, coincidente con l’oppressione slava, seguita da quella pił distesa dominata dall’ironia.

Nel discorso del Prof. Bardh Rugova non č mancato il riferimento ai gusti musicali durante le varie fasi della storia kosovara: in contrapposizione al controllo statale il relatore ha citato l’affermazione del new wave e rock accanto allo sleng dei giovani di Prishtina.

Il relatore ha concluso sostenendo che i giornali svolgono un ruolo importante nella vita sociale ed hanno una responsabilitą di grande portata nella formazione degli orientamenti e delle opinioni che poi si concretizzano in giudizi.

 

 

Prof.ssa Lindita Sejdiu: La linguistica albanese contemporanea nel Kosovo.

 

Gli studi di linguistica nel Kosovo hanno registrato un particolare sviluppo a datare dagli anni ’70 del secolo scorso, sia per l’apertura verso le scuole di pensiero occidentali, sia per l’organizzazione di momenti di confronto – vedi Seminario Internazionale sulla Lingua, la Letteratura e la Cultura Albanese –, sia sul piano culturale che su quello delle ricerche. Infatti gią negli anni settanta i metodi della linguistica strutturalista, della linguistica generativa, ma anche delle nuove discipline che si affermavano, sociolinguistica e linguistica testuale, sono presenti e seguiti con attenzione.

In questo quadro la prof.ssa Sejdiu si č soffermata sull’opera di diversi linguisti kosovari e un posto importante nella relazione l’ha dedicato all’accademico Besim Bokshi, autore di diverse opere, tra cui  Zhvillimi i sistemit nominal tė shqipes (Lo sviluppo del sistema nominale dell’albanese) del 1980, ripubblicato nel 2005 e Prapavendosja e nyjes nė gjuhėt ballkanike (La posposizione dell’articolo nelle lingue balcaniche, 1984).

Il libro del Bokshi sullo sviluppo del sistema nominale rappresenta una vera innovazione nella metodologia degli studi albanologici, per l’introduzione dei concetti sistemici nel processo diacronico e l’applicazione dello strutturalismo, che gli hanno permesso la costruzione di un sistema completo dell’albanese nel campo nominale, e la formulazione di una teoria sulla formazione di elementi nuovi morfematici.

La ricerca sulla posposizione dell’articolo nelle lingue balcaniche ha permesso al Bokshi di individuare le cause e i tempi del fenomeno della posposizione e dell’agglutinazione dell’articolo nella lingua albanese, in quella rumena e nella bulgara, riuscendo a spiegare le modalitą dell’influenza dell’albanese sul rumeno, e pił tardi del rumeno sul bulgaro.

Besim Bokshi č l’iniziatore degli studi strutturalistici e della linguistica albanese in generale nel Kosovo e per le sue tesi sulla storia della lingua albanese e delle lingue indoeuropee rimane un’autoritą indiscussa in tutta la comunitą accademica albanese.

Un’altra figura importante della linguistica kosovara, presa in esame dalla prof.ssa Sejdiu, č il prof. Selman Riza che durante tutta la sua vita fu perseguitato dai regimi comunisti della ex-Iugoslavia e dell’Albania di Enver Hoxha.

La raccolta delle sue opere Studime albanistike (Studi albanistici) venne pubblicata in Kosovo negli anni Ottanta. Alla fine del 2009 le accademie di Prishtina e di Tirana hanno pubblicato l’opera omnia, da cui si evidenzia il suo contributo scientifico nel campo della grammatica albanese, della dialettologia, della standardizzazione dell’albanese e della linguistica comparata.

Le sue ricerche, improntate a grande rigore scientifico, per molti aspetti hanno precorso i tempi della linguistica albanese e sono alla base della formazione dello stesso Besim Bokshi.

Infine la relatrice ha sottolineato il valore degli studi dell’accademico Rexhep Ismajli nel campo della filologia, dei testi antichi, della fonetica storica e dello sviluppo diacronico dell’albanese rispetto alle altre lingue balcaniche; ma anche di altri studiosi che hanno dato e continuano a dare contributi apprezzabili nel campo della dialettologia (prof. I. Badallaj), della sociolinguistica (proff. Rr. Paēarizi, Sh. Munishi), della sintassi (proff. L. Rugova, T. Abrashi).

 

A conclusione dei lavori, il prof. I. C. Fortino, promotore e organizzatore dell’evento, ha preannunziato i prossimi incontri che avranno come oggetto la letteratura contemporanea albanese del Kosovo e gli sviluppi della standardizzazione dell’albanese.

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 Kosova sot

Situata politiko - kulturore nė 25 vitet e fundit

 Katedra e Gjuhės dhe Letėrsisė Shqipe e Universitetit tė Napolit “L’Orientale”, nė bashkėpunim me Departamentin e Studimeve tė Europės Lindore si edhe Shkollėn e Doktoraturės sė Kėrkimit“Kultura tė Europės Lindore”, organizoi njė konferencė shkencore me titull “Situata politiko – kulturore e Kosovės sot”, nė kuadėr tė Marrėveshjes ndėrmjet Universitetit tė Napolit “L’Orientale” dhe Universitetit tė Prishtinės.

Nė kėtė konferencė qė  u mbajt mė 20 maj  kumtuan profesorėt Bardh Rugova, Drejtor i Departamentit tė Gjuhėsisė tė Universitetit tė Prishtinės dhe Lindita Sejdiu, zv/dekane e Fakultetit tė Filologjisё tė po kėtij Universiteti.

  

Prof. Bardh Rugova: Situata politiko-kulturore nė Kosovė.

 Prof. Bardh Rugova parashtroi njė panoramė tė situatės politike e kulturore nė Kosovė nė 25 vitet e fundit, tė  fazave tė ndryshme tė zhvillimit tė kėsaj situate parė nga kėndvėshtrimi i shtypit kosovar dhe mė nė veēanti nėpėrmjet interpretimeve tė tė pėrditshmeve qė botohen nė Kosovė “Rilindja”, “Bujku” e “Koha Ditore”.

Kumtuesi, nė kėtė parashtrim origjinal, theksoi faktin se ēelėsi pėr interpretimin e realitetit duhet kėrkuar tek gjuha e metaforės, mė shumė se tek gjuha e drejtpėrdrejtė. I njėjti realitet nė ndryshim tė vazhdueshėm ka gjetur nė strukturėn tekstuale tė rrėfimit gazetaresk herė reflektimet e qėndrimeve autoritare, herė totalitare e mė nė fund tė lirė, mbrojtės tė pėrgjegjėsive shoqėrore.

Vetėm modeli i lirė dhe ai i pėrgjegjėsisė shoqėrore u pėrkasin shoqėrive demokratike.

Kosova, nė historinė e saj tė re, njė kohė relativisht tė shkurtėr, i ka pėrshkuar tė gjitha fazat dhe modelet e cituara: nga Provincė Autonome e Republikės Serbe, nė njė entitet me autonomi tė mohuar, nė ndėrtimin e njė sistemi paralel i tėri shqiptar, nė Republikė tė Pavarur.

E pėrditshmja “Koha Ditore”, nė numrin e saj tė 17 shkurtit 2008, atėherė kur shpallej Pavarėsia e Republikės sė  Kosovės, lajmėronte ngjarjen duke pėrshkruar rrugėtimin deri nė kėtė ditė me fjalėt kyē: shtet, liri, pavarėsi, demokraci, pėrgjegjėsi shoqėrore dhe impakti i tyre nė jetėn shoqėrore, njė rrugėtim qė ende vazhdon.

Pėr kėtė: Historia e Kosovės ėshtė e trazuar dhe nė dhjetėvjeēarėt e fundit ka kaluar nga njė lloj pavarėsie brenda federatės jugosllave, nė njė sistem totalitar, mė pas nė njė pushtim nė kuadėr tė njė sistemi pluralist nė dukje, por autoritar, deri tek pavarėsia e njė demokracie tė brishtė, qė po hedh rrėnjė.   

Kumtuesi, duke trajtuar momentet kryesore tė historisė sė Kosovės, u mbėshtet edhe nė analizėn e bėrė nga Presidenti Ibrahim Rugova poezisė sė Ali Podrimes, nė tė cilėn dallohen qartė dy faza: faza e parė ku dominon gjuha e metaforės, fazė qė pėrkon me shtypjen sllave dhe faza e dytė qė ndjek tė parėn, mė e shtendosur e qė dominohet nga ironia.

Nė fjalėn e prof. Bardh Rugovės nuk mungoi edhe njė referim ndaj shijeve muzikore gjatė fazave tė ndryshme tė shoqėrisė kosovare: nė kundėrvėnie me kontrollin shtetėror u afirmuan asokohe nė Kosovė rrymat muzikore new wave dhe rok si edhe njė e folme e veēantė e tė rinjve prishtinas.

Kumtuesi pėrfundoi  se gazetat luajnė njė rol tė rėndėsishėm nė jetėn shoqėrore dhe kanė njė rėndėsi tė veēantė nė formimin e orientimeve dhe opinioneve qė mė pas konkretizohen nė gjykime

 

Prof.shё  Lindita Sejdiu: Studimet e sotme gjuhėsore mbi shqipen nė Kosovė.

 Studimet gjuhėsore nė Kosovė kanė shėnuar njė zhvillim tė veēantė duke filluar nga vitet ’70 tė shekullit qė kaloi, jo vetėm nisur nga hapja ndaj shkollave perėndimore tė mendimit, por edhe nga organizimi i tubimeve shkencore pėr rrahjen e mendimeve – ndėr tė cilėt organizimi i Seminarit  Ndėrkombėtar pėr Gjuhėn, Letėrsinė dhe Kulturėn Shqipe – si nė planin kulturor ashtu edhe nė atė shkencor. Qė nė vitet ’70 metodat e gjuhėsisė strukturaliste, tė gjuhėsisė gjenerative, por edhe tė disiplinave tė reja qė po afirmoheshin, sociolinguistika dhe gjuhėsia e tekstit, ishin tė pranishme dhe ndiqeshin me vėmėndje.

Nė kėtė kuadėr, prof.sha Sejdiu pėrmendi studimet e kryera nga disa gjuhėtarė tė Kosovės, duke u pėrqendruar tek vepra e Akademik Besim Bokshit, autor i disa studimeve tė rėndėsishme si  Zhvillimi i sistemit nominal tė shqipes, 1980, ribotuar mė 2005 e Prapavendosja e nyjes nė gjuhėt ballkanike, 1984.

Libri i Bokshit mbi zhvillimin e sistemit emėror pėrfaqėson njė risi tė vėrtetė nė metodologjinė e studimeve albanologjike, pėr futjen e koncepteve tė sistemit nė procesin diakronik dhe aplikimin e strukturalizmit, qė i lejuan ndėrtimin e njė sistemi tė plotė tė shqipes nė fushėn nominale, dhe formulimin e njė teorie mbi formimin e elementėve tė rinj morfematikė.

Studimi mbi prapavendosjen e nyjes nė gjuhėt ballkanike i lejoi Bokshit tė identifikojė shkaqet dhe kohėn e zhvillimit tė dukurisė sė prapavendosjes dhe aglutinacionit tė nyjes nė gjuhėn shqipe, nė rumanisht, ne bullgarisht duke ja mbrritur tė shpjegojė modalitetet e ndikimit tė shqipes mbi rumanishten, e mė vonė tė rumanishtes mbi bullgarishten.

Besim Bokshi ėshtė nismėtari i studimeve strukturaliste nė Kosovė e tė gjuhėsisė shqiptare nė pėrgjithėsi dhe pėr tezat e tij mbi historinė e gjuhės shqipe dhe tė gjuhėve indoeuropiane  mbetet njė autoritet i padiskutueshėm nė tė gjithė komunitetin akademik shqiptar.

Njė figurė e rėndėsishme e studimeve gjuhėsore nė Kosovė, tė analizuara nga prof. Sejdiu, ėshtė prof. Selman Riza, qė gjatė gjithė jetės u persekutua nga regjimet komuniste tė ish-Jugosllavisė dhe tė Shqipėrisė sė Enver Hoxhės.

Pėrmbledhja e veprave tė tij “Studime albanistike”  u botua nė Kosovė nė vitet ’80. Nė fund tė 2009 Akademitė e Prishtinės e tė Tiranės botuan veprėn e plotė tė tij, ku mund tė shihet qartė kontributi shkencor nė fushėn e gramatikės sė shqipes, tė dialektologjisė dhe gjuhėsisė sė krahasuar.

Kėrkimet e tij, shenjohen nga  rreptėsia shkencore e nė shumė aspekte kanė paraprirė kėrkimet nė albanologji dhe kanė ndikuar edhe nė formimin e Bokshit.

Nė fund kumtuesja nėnvizoi edhe vlerėn e studimeve tė Akademik Rexhep Ismajlit nė fushė tė filologjisė, tė teksteve tė vjetra, tė fonetikės historike dhe tė zhvillimit diakronik tė shqipes nė pėrqasje me gjuhėt e tjera ballkanike, por edhe tė studiuesve tė tjerė qė kanė dhėnė e vazhdojnė tė japin njė ndihmesė tė ēmuar nė fushė tė dialektologjisė (prof. I. Badallaj), tė sociolinguistikės (proff. Rr. Paēarizi, Sh. Munishi), tė sintaksės (proff. L. Rugova, T. Abrashi).

Nė pėrfundim tė punimeve tė Konferencės, prof. Italo C. Fortino, nismėtar dhe organizues i aktivitetit, paralajmėroi takime tė tjera nė tė ardhmen qė do tė kenė si objekt letėrsinė e sotme shqipe nė Kosovė dhe zhvillimet nė lėmė tė standartizimit tė shqipes.

 

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pubblicato il 21 maggio 2010

CENTRI STORICI MINORI

di Atanasio Pizzi

 

Centri storici minori un aggettivo utilizzato impropriamente ad indicare tutti gli agglomerati di cui fanno parte anche quelli delle comunitą albanofone; minori architetture minori interessi economici, minore la storia ingiustamente poco valorizzata, in apparenza di secondaria importanza rispetto a quella dei grandi centri, oltre modo tutelati dalle istituzioni.

Sottovalutare il valore storico dei centri minori, e nello specifico quelli arbėrėshė, si commette un grave errore, frammentati nel territorio, mai letti con le dovute cautele da persone titolate e con specifica preparazione, conservano elementi utili alla ricostruzione  storica dalla comunitą Arbėrėshė.

 

I centri albanofoni, abbandonati dall’esodo di molti residenti, si sono trasformati e degradati, pur rimanendo tessuto di maglie che attendono solo di essere intrecciate le une alle altre, trasformati in puri oggetti di consumo, anche se beni culturali, considerati semplici luoghi ove operare come se fosse svincolati dal proprio contesto di identitą.

Una seria salvaguardia e progetti fondati sulla comprensione della storia possono innescare processi di trasformazione in grado di tutelare la qualitą originaria e i valori della cultura arbėrėshė.

 

Non riconoscere e non affermare valori storici o estetici del patrimonio architettonico dei piccoli centri albanesi, significa seguire le mutate condizioni sociali nella totale indifferenza.

Progettare diventa sfida ancora pił ardua quando, confrontandosi con la qualitą del tessuto urbano e con le caratteristiche tipologiche presenti, la scena rappresentativa delle forme quotidiane dell'abitare piuttosto che della singola emergenza architettonica o dell'edificio monumentale laddove ci si rassegni acriticamente alla perdita della possibilitą di utilizzo delle tradizionali tecnologie e materiali originari.

 

Riconoscere nei centri storici minori modelli di qualitą, porta ad una serie di temi di riflessione che riguardano le finalitą e i modi della salvaguardia del nostro patrimonio culturale.

Non vi č alcun dubbio che sia necessario aumentare le risorse e le esperienze disponibili per tutelare e salvaguardare i piccoli centri, ridotti ormai sono allo stremo e rischiano di scomparire, interventi di recupero poco attenti al contesto ove si interviene, sono ormai abbastanza diffusi.

La consapevolezza che la salvaguardia di questo patrimonio, rappresenta il solido perno a cui affidare le identitą culturali e di sviluppo locale, non dimenticando perņ che il solo intervento di restauro delle strutture edilizie, pur se condotto secondo le regole pił rigide dell’architettura, non e di perse sufficiente ad operare una  salvaguardia duratura di queste testimonianze.

 

Inserendo il contesto in una logica di interventi e strategie che puntano a rimuovere i motivi che hanno generato il degrado, recuperando e riproponendo il contesto in circuiti etno-turistico, rappresenta uno dei modi per dare continuitą alla vita dei siti

Ciņ significa concepire l'intervento di restauro sull'emergenza architettonica come momento di un processo pił generale di tutela e riqualificazione che estende al paesaggio e al tessuto urbano una nuova destinazione d’uso.

 

Recuperare il rapporto tra architettura e contesto, tra edilizia storica minuta e tessuto connettivo puņ fare la differenza per valorizzare un patrimonio a rischio, rileggendo e riproporre con attenzione la morfologia e i modelli di vita dei luoghi, sperimentando metodologie di analisi e di rappresentazione dedicate ai contesti apparentemente marginali o di semplice decodificazione, non tralasciando i riferimenti di carattere storico-architettonico affinché le operazioni conoscitive non si trasformino in passive e antiche catalogazioni di situazioni edilizie e di vita.

Č del resto rigide normative non rappresentano la soluzione per il recupero dei tessuti articolati in cui le quinte urbane rappresentano i trasmettitori di significativi aspetti temporali, solo forme precise e sanate nel loro accostamento caratterizzano percorsi e quartieri nell'alternanza di prospetti ricchi di particolari, in cui ogni elemento, sia esso, rivestimento, inferriata, portone, cornicione, balcone, ecc. ha una propria vicenda da raccontare.

 

Oggi il decoro urbano si intreccia con la disattenzione quotidiana dei cambiamenti sociali e delle modificazioni produttive, disparate tecnologie assieme ad un mix di gusto che si scontrano con la tradizione e producono progetti di intervento non rispondenti al contesto, appare evidente che nel caso di testimonianze minori l'intervento di restauro non puņ prescindere da una attribuzione di nuovi significati al manufatto architettonico, capace di riverberare sull'intorno tale da valorizzare i caratteri testimoniali e simbolici ripristinando modalitą di percezione e accessibilitą che lo reinseriscano pienamente nel contesto circostante.

I centri storici minori possono quindi essere la prova di buone pratiche ed esperienze locali, per modelli innovativi di pianificazione e gestione sui quali puntare per salvaguardare le configurazioni originane e i tratti di identitą del patrimonio minoritario.

 

E’ possibile riformulare regole insediative puntando su operazioni di natura prettamente immobiliare a carattere alberghiero del tipo cosģ detto diffuso, tali da tutelare il patrimonio edilizio dei centri storici minori, facendoli rivivere nelle operazioni di vita quotidiana arbėrėshė.

Anche se in uno scenario poco promettente per quanto riguarda le politiche di salvaguardia e di recupero dei centri minori, non hanno dato esiti sino ad oggi sperati, mancano esempi di amministrazioni locali illuminate, che possano adottare sistemi operativi che producano concreti processi di partecipazione da parte dei cittadini, l’esempio dell’albergo diffuso proposto all’interno delle Gjtonie, sarebbe l’occasione per riproporre antichi modelli di vita stagionale arbėrėshė, irivissuti all’interno del modello etno-architettonico recuperato.

 

 (Thanąsi…. i biri… Janąri  Passionątit e Adollina Kongorčlit)

 

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pubblicato il 16 maggio 2010

 

L’UNITA D’ITALIA E GLI ARBĖRESHĖ

Puru ną arbėrėshė ndihjtėm ghė cikė

 

di Atanasio Pizzi      

 

L’unificazione dell’Italia partģ il 5 di maggio del 1860 da Quarto, ma chi diede la possibilitą a quella spedizione di aver un esito positivo, si prodigņ molto tempo addietro, gli eventi di seguito riportati fanno parte di quel periodo ove illustri personaggi lungimiranti, preparavano le strutture idonee per formare ed educare all’unificazione d’Italia.

Nel 1792 Mons. Francesco Bugliari, nominato Presidente e Vescovo del Collegio di S. Benedetto Ullano, si trovņ ad affrontare le difficoltą economiche della struttura; non potendo cosģ accogliere i molti giovani che aspiravano ad istruirsi nelle discipline liberali, per cui era costretto ad accogliere solo i pochi alunni avviati al sacerdozio di rito greco.

Quel sommo prelato, aveva particolarmente a cuore l’interesse per la cultura ecclesiastica e laicale, affinata particolarmente nella sua permanenza a Napoli.

Nel capoluogo campano apprese, attraverso suoi conterranei di origine arbėrėshė, le nuove idee culturali e liberali che in quel periodo erano in auge nella capitale partenopea, tra cui i promotori pił assidui faceva parte il compaesano Pasquale Baffi.

 

Il Bugliari una volta alla guida del Collegio si adoperņ per ottenere dal governo di Napoli la concessione della Badia di Sant'Adriano in S. Demetrio Corone, che lui conosceva molto bene, visto che essa era allocata a pochi chilometri da Santa Sofia d’Epiro suo paese d’origine.

Sicuro che cosģ facendo avrebbe consentito alla struttura del Collegio di avere un pił solido e duraturo assetto ed aumentare il numero degli allievi laici e clericali.

Supplicņ pertanto, S. M. per il cambiamento della sede di San Benedetto Ullano, piccola e malsana, per la concessione al Collegio della Badia di Monaci Brasiliani di Sant'Adriano, alla quale, per l’esiguo numero di religiosi, era pił decoroso e civile sostituirlo con un centro di istruzione per le provincie Calabresi.

 

Quanto Monsignor Bugliari, rivolgendosi al governo, richiamando l'attenzione sull’interesse generale e civile, parlando solo di pubblica istruzione e sui benefici che avrebbe avuto la popolazione di Calabria Citra, accennando appena l'interesse particolare per gli Albanesi.

Appare chiaro che la forte pressione alla realizzazione del progetto supportata da Napoli dal fraterno Pasquale Baffi, il quale era fermamente convinto, a ragione, che il modo per sollevare la Calabria dal suo stato di totale arretratezza, non poteva che partire dall’elevare culturalmente e ideologicamente le popolazioni di quella regione; anche se nel Discorso sugli Albanesi - Napoli 1807 si attribuisce i meriti esclusivamente al Bugliari tragicamente assassinato l’anno prima.

 

Presentata dunque al Re la relazione con la richiesta della concessione della Badia Basiliana di Sant'Adriano, gli fu concesso di trasferire il Collegio italo-greco da S. Benedetto nel Monastero dei Padri Basiliani di Sant'Adriano in S. Demetrio Corone.

Monsignor Bugliari si adoperņ per attuare la realizzazione del suo proposito il pił sollecitamente possibile, procedendo con molta sagacia ed accortezza  evitando di incidere sulla sensibilitą dei Ullanesi.

Avvisati a S. Sofia i suoi due fratelli Domenico Antonio e Vincenzo, si fece inviare carri e cavalcature nel Varco detto di Finita, alla riva sinistra del fiume Crati, un bel mattino del mese di settembre 1794, simulando una passeggiata con gli insegnanti e con i convittori la prolungņ sino a Finita.

Qui, inforcati gli asini e caricate le suppellettili sui carri, si diressero alla volta di S. Sofia, proseguendo la mattina dopo per Sant'Adriano a prendere possesso della nuova sede dell’istituto.

 

Cosģ ebbe luogo il trasloco del Collegio italo-greco da S. Benedetto a S. Demetrio, la cui opera, dopo il 1794, nella sede strategicamente ed economicamente pił appropriata aveva inizio, il Bugliari prima e del Bellusci dopo, uomini di origine arbėrėshė e quindi ideologicamente liberali seppero imprimere al percorso di scolarizzazione sani principi; oltre alla formazione di colti sacerdoti per la prosecuzione del rito greco cattolico, oltre ciņ contribuendo all’incremento della pubblica istruzione che in breve tempo rese benemeriti molti luminari, l’istituto divenne punto di riferimento culturale e ideologico di importanza strategica per la regione, la quale seppe rispondere positivamente alle stagioni che portarono all’unificazione  dell’Italia.

                                 

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pubblicato il 5 Febbraio 2010

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

(Tek merr e nėng vė nėng qėndron faregjė)

 

di  Atanasio arch. Pizzi  con  Maria Palma dott. Tateo

 

Navigando su internet ho scoperto, che anche i paesi arbėrėshė di Calabria Citeriore sono stati inseriti nella sezione street view, di Google Maps.

L’opportunitą  di poter esaminare anche gli angoli pił reconditi delle pertinenze albanesi mi ha particolarmente entusiasmato; avendo a disposizione infinite visioni prospettiche su ciņ che osservo da decenni; ho dato subito inizio ad un viaggio virtuale, attraverso i paese di Provincia Citra.

Ma la finestra aperta dalla street view car, ha messo a nudo una realtą inaspettata, lasciandomi profondamente deluso, sia come Architetto ma soprattutto in quanto arbėrėshė.

Prima dell’avvento di internet, le informazioni sui materiali per gli addetti ai lavori in campo Architettonico, era consuetudine ricavarle dall’Archivio Edile; una raccolta di depliant o vetrina di prodotti messi a disposizione, dei tecnici e addetti ai lavori, dall’industria del settore edilizio.

Nell’esaminare gli scenari, di street view, dei paesi arbėrėshė ho avuto l’impressione di sfogliare quell’antico Archivio Edile, con la differenza sostanziale che, nel catalogo i materiali se pur diversificati, avevano un ordine metodologico; le immagini dei paesi albanofoni mi davano l’impressione di trovarmi innanzi ad una Babele, ove, i materiali pił disparati sono usati in modo non oculato, spregiudicato e assolutamente leziosi.

La giustificazione, sta nel fatto che i siti di pertinenza minoritaria Italo-Albanese, sino a un decennio addietro, non erano mai stati oggetto di ricerca e studio, da parte di esperti multidisciplinari, che con certosina perizia fossero riusciti a dare un percorso metodologico chiaro, Storicamente supportato, in ambito Urbanistico e Architettonico.

L’attuale regolamentazione a tutela dei Beni Architettonici e Paesaggistici, ha unificato le disposizioni in un unico testo, contenente le linee guida per la salvaguardia dei Beni Culturali, D.L. n°42 / 2004, ma che affonda le sue radici nella carta di Atene del 1931.

Nonostante ciņ, da salvaguardare č rimasto poco, solo la speranza della ricerca fisica, di sporadici esempi da incorniciare e catalogare come memoria storica, aspettando futuri pił rosei, per i tanti manufatti ormai stravolti e illeggibili nelle loro tipologie edilizie

Parafrasando ”cerce homo” oserei dire “cerce l’Architettura”, poiché, stravolgendo la tipologia urbana e architettonica; lo scenario che si presenta, potrebbe essere usato come location dove il personaggio, vagando all’interno delle pertinenza minoritaria Italo-Albanese, va alla ricerca del dilapidato patrimonio architettonico.

Se le Amministrazioni locali dei paesi arbėrėshė, a cui invano mi rivolgo da anni, non prendono atto dei valori che quotidianamente si vanno sempre pił affievolendo e con essi la perdita del genius loci, a breve, non rimarranno altro che inutili, flebili e confuse manifestazioni folcloristiche, assieme a tante immagini, destinate a perdere il loro misero valore.

Attualmente le opportunitą economiche delle Amministrazioni locali si sono ridotte notevolmente rispetto al passato, ma la funzione di controllo non deve lasciare spazio a futuristici scenari che non ci appartengono.

Rimangono i privati a cui rivolgere l’attenzione, i quali sino ad oggi, o per successioni ereditarie o nel tentativo di tenere in vita i luoghi della loro infanzia, conservano ancora validi esempi di architettura minoritaria; che racchiudono, in essi, metodologie di edificazione, non travolte dai processi di inconsapevole manomissione.

Ormai bisogna rivolgere l’invito, a tutti coloro che a breve o medio termine, intendano recuperare o dare vita a questi pochi esempi di architettura arbėrėshė, ancora intatti.

Con l’auspicio che mirate e intelligenti scelte, siano inoltrate, nei confronti di chi conosca le discipline del Restauro e della Conservazione, senza perseguire lo scopo del mero risultato “dell’abbellimento”, divenuto pericolosamente di uso Comune.

 

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pubblicato il 17 gennaio 2010

Njė herė ish njė shpi

(Palazzo Rizzuti)

di Atanasio Pizzi (Architetto)

Collocato nella parte bassa di Santa Sofia d'Epiro, Palazzo Rizzuti ricade in quell’insula che affaccia nella cavea naturale detta dei Becci, oggi Largo Botzaris.

Integrato e riattato secondo i canoni dei palazzi nobiliari di fine 1800, fa parte

della tipologia edilizia che da dimora con scale e passetto, (loggetta) innanzi

all’ingresso,fu trasformata in abitazione pił rappresentativa con il caratteristico

portale d’ingresso in pietra.

Il manufatto contiene nel suo prospetto principale, gli elementi architettonici

tipici delle fabbriche signorili di quel periodo.

 

Perimetrato da fasce di intonaco a rilievo č coronato dal cornicione in duplice ordine di tegole in un continuo di malta a base di sabbia e calce, sovrastato dalla copertura in coppi e contro coppi con pendenze a padiglione.

 

 

cavea naturale detta dei Becci, Agosto 2002

 

 

Il portale dell’ingresso, realizzato in monoliti calcarei era cosi assemblato:

adagiati su una soglia costituita da tre moduli in pietra i due zoccoli di base che definiscono la luce del varco; i due zoccoli, lavorati con volute a decrescere sono sormontati dai piedritti al di sopra dei quali poggiano i due peducci arricchiti con volute, questi ultimi accolgono i quattro conci dell’arco reso solidale dalla chiave di volta recante un decoro a rilievo.

L’infisso in legno a doppio battente era realizzato in essenza di castagno e

sormontato da una grata in ferro battuto, la forma, a ventaglio, era descritta

all’interno dell’arco del portale adornata da volute e le iniziali di famiglia.

Una coppia di finestre di forma quadrangolare erano allocate ai fianchi del

portale d’ingresso, a garanzia della inviolabilitą di questi due varchi, erano

infisse nella sezione muraria robuste inferriate e solidi infissi, in legno di

castagno ad un battente, garantivano la tenuta termica, (quella di sinistra

risultava murata perché all’interno del locale in quell’angolo vi era allocato il

forno).

Al primo livello in asse con il portale d’ingresso faceva bella mostra il balcone

di rappresentanza, elegantemente dimensionato nei rapporti metrici, il quale si

presentava coronato da una cornice di intonaco a rilievo che si innestava

sull’aggetto in pietra calcare del calpestio, decorato per tutto lo sviluppo

lineare; l’affaccio era assicurato da una ringhiera in ferro battuto che seguiva

l’andamento della soglia aggettante.

L’infisso in essenze di castagno a due battenti, era oscurato nella parte

inferiore, mentre nella parte superiore vetrate assicuravano la giusta

illuminazione nell’ambiente retrostante; due sportelli in castagno garantivano

la tenuta termica e l’oscuramento notturno relativamente alla superficie vetrata.

In asse con la linea ideale del portale e del balcone in corrispondenza del

cornicione di tegole era collocata una finestra di modeste dimensioni, che

assicurava la giusta ventilazione della copertura nel periodo estivo e durante

quello invernale la ostacolava mediante la chiusura di un infisso vetrato.

Il prospetto appena descritto, nella sua semplicitą era ben inserito nel contesto

della cavea naturale dei Becci senza incidere sulla quinta e in quel equilibrio di

luci ed ombre che da sempre la aveva caratterizzata.

La quinta di palazzo Rizzuti, mi auguro sia la chiusura di un ciclo che da

decenni stravolge Largo Botzaris, infatti analizzando nello specifico le quinte

che ricadono all’interno della cavea, emerge palesemente la perdita di valore

etno-architettonico di quel sito.

Nello specifico caso preso in analisi, ciņ che colpisce č che le pił elementari

linee guida nel campo del recupero e del restauro non sono prese in

considerazione, nel vano tentativo di ridare vita ad un manufatto; nei fatti:

• Sostituzione della soglia d’ingresso, invece di integrare quella esistente.

• Sostituzione totale dell’infisso del portale senza tenere alcun conto delle

linee di inviluppo o provare ad integrare le parti mancanti del vecchio.

• La totale rimozione del ventaglio in ferro all’interno dell’arco, assieme

alla grata della finestra a piano terra.

• La totale rimozione della sagoma di uno degli infissi quadrati, che

caratterizzavano il prospetto a piano terra, eppure in passato il segno era

stato conservato.

• Modifica dimensionale della fascia di coronamento di finestre e balconi.

• Modificazione dimensionale del balcone di rappresentanza.

• Sostituzione totale del’aggetto del balcone in pietra calcarea con un

getto di conglomerato cementizio.

• Modificazione della quota del balcone rispetto al portale in pietra.

• Modificando le fasce di coronamento, la ringhiera e l’aggetto del

balcone, avvolgono l’insieme che risulta sottodimensionato.

• Nella sostituzione del tetto, non č stata adeguatamente scelto un sistema

per non ricorrere alle orrende grondaie con le relative discendenti.

• Elemento non meno importante č l’apposizione dei cromatismi scelti,

analizzando nei meriti il sito di Santa Sofia d’Epiro non vi č nulla per il

quale la scelta fatta li potesse indicare.

Se osservando solamente il prospetto su Largo Botzaris, emergono tali e tante

disattenzioni, quali e quante altre in questo edificio, č legittimo chiedersi, siano

state messe in atto nello sviluppo del progetto Architettonico e Strutturale?

 

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