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TRADIZIONI

Giochi antichi


 

 

GIOCHI ANTICHI

I giochi di una volta in Calabria e la cultura del territorio


Il gioco è l’espressione più autentica della cultura umana.

Il gioco è sempre “figlio del tempo” e si adatta al contesto sociale nel quale si svolge.

Il recupero dei giochi tradizionali, per le giovani generazioni, rappresenta la riscoperta della propria storia culturale e materiale, delle proprie origini, del senso di appartenenza. Ricostruire la storia dei giochi nella tradizione di un territorio assume un profondo valore storico e antropologico. E la scuola dovrebbe promuovere progetti di studio sui giochi di una volta; non come ricerca episodica e fine a se stessa, ma come scelta didattica importante per la formazione del giovane. Il confronto delle varianti tecnologiche e delle regole con gli stessi giochi di altre zone geografiche ha un valore etno-antropologico, non certo marginale per lo studio della storia locale.

 

Il prof. Franco Frabboni, dell’università di Bologna, afferma: “Se dovessero scomparire la cultura e la memoria di giochi del passato, dei repertori ludici di marca “antropologica” strettamente legati ai linguaggi, alle culture, alle assiologie delle singole comunità sociali, allora si potrebbero suonare le “campane a morto” per il pianeta infanzia. Perché con la cultura del gioco scomparirebbe anche il bambino, sempre più espropriato, derubato, scorticato del suo mondo di cose e di valori e costretto a specchiarsi in culture non sue: prefabbricate, surgelate, imposte surrettiziamente dal mercato industriale”.

 

Il gioco è una delle componenti principali nella formazione psico-fisica dell’individuo; è occasione di socializzazione e di apprendimento; è formazione ed educazione. Il gioco stimola l’inventiva, la curiosità, l’ingegno, la manualità, la creatività; abitua alla competizione, alla riflessione, al rispetto delle regole. Il gioco contribuisce a formare la mente e potenzia le abilità fisiche e motorie; inoltre, rappresenta un vero e proprio allenamento che il bambino compie inconsapevolmente per avvicinarsi ed adattarsi alla società degli adulti.

 

Giocando il bambino misura l’ambiente, prende coscienza dello spazio, misura le reazioni dell’adulto ed impara a vivere.

L’attività ludica favorisce l’integrazione e non prevede differenze sociali o fisiche o di razza.

Elementi essenziali del gioco sono: lo “spirito d’imitazione” e la “competizione”, con le sue peculiarità di abilità, coraggio e valore sociale.

 

Ma è importante anche l’elemento “emozionale”, come piacere di far parte del gruppo, di partecipare al gioco, di sentirsi protagonista della gara, di mettersi alla prova e di riuscire a superare le difficoltà.

Il gioco è: piacere e regola. È parola e lingua, perché strettamente legato alla cultura ed ai linguaggi delle singole comunità sociali.

 

Molti giochi hanno un fondo comune di tradizione, in quanto l’uno l’ha imparato dall’altro e, spostandosi, l’ha modificato e adattato ai nuovi ambienti e alle nuove abitudini; come è avvenuto per le comunità arbëreshe i cui usi e costumi hanno subito trasformazioni e osmosi a contatto con i popoli con cui sono venuti a contatto.

È sempre lo stesso modo di giocare, ma con diverse regole, e ciò è segno di originalità e creatività. Svaghi, comuni a varie popolazioni d’Europa, sono quello del cerchio, della palla, della trottola, della moscacieca.

 

Nei giochi di una volta, la creatività e l’ingegno faceva sì che in una società povera si costruiva con i materiali che c’erano a disposizione, ma la fantasia restava la materia prima. Così la bambola era di pezza, come la palla, la macchinina era un carrettino di tavola con quattro ruote pure in legno, costruite dai più grandi ed esperti, prima ancora che arrivassero i cuscinetti a sfera.

 

Oggi la grande produzione di giocattoli industriali, Tv ed il computer hanno ucciso non solo la creatività dei ragazzi, ma anche i rapporti di socializzazione del gioco.

Hanno eliminato i segni educativi del gioco stesso: il movimento, la comunicazione, la fantasia, l’avventura, la costruzione, la socializzazione.

Nei tempi passati, il gioco era di tipo creativo, collettivo di alto valore sociale. Si viveva in case piccole, poco comode, perciò la piazza era il laboratorio all’aria aperta di giochi semplici da parte di ragazzini indipendenti ed autonomi. Con poco si sopprimeva la noia.

 

Ma dagli anni Sessanta del Novecento, con l’avvento dell’industrializzazione, l’aumento del benessere e del traffico, i bambini non giocano più in strada ed i giochi tradizionali vanno scomparendo. Ed oggi nella memoria dei più anziani restano con nostalgia i modelli di “ingegneria”, come i carrioli, costruiti applicando ad un asse di legno quattro ruote pure di legno, prima che comparissero i cuscinetti a sfera che permettevano di scendere in rapida corsa per strade non asfaltate. E poi tutti ricordano la fionda, ricavata da una forcella di legno duro alle cui estremità si legavano due elastici fissati ad un pezzetto di cuoio ovale, atta a lanciare piccole pietre capaci di dare la caccia agli uccelli, come rompere vetri e procurare danni in genere.

 

E come far capire ai ragazzi di oggi che posseggono due e più telefonini la gioia che procurava il “telefono” dei ragazzini di un tempo? Un filo teso tra due barattoli che portava la voce dalla bocca dell’uno all’orecchio dell’altro. E poi c’erano le gare con i tappi a corona delle bibite che correvano ai bordi dei marciapiedi; e il gioco delle figurine dei calciatori o dei corridori.

 

I giochi dimenticati, tra cui quello delle pietruzze, “i petra ‘ncilu”, quello della trottola, vecchio di seimila anni, ‘u sbatti muru, ‘a campana, ‘a mazza e lu spizzìngulu o stirìddru, il cerchio e tanti altri meriterebbero un attento lavoro di ricostruzione storica ed etnoantropologica, per la valorizzazione delle tradizioni e della cultura dei territori.

 

 

il carriòlo - anni trenta del '900

Foto d'epoca: archivio Lombardi - Castrovillari -

tratta dal volume Riti e Miti - Edizioni Arte26

 

 

 

 

il cerchio (anni quaranta '900)

Foto d'epoca: archivio Diana - Saracena -

tratta dal volume Riti e Miti - © Edizioni Arte26

 

 

 

 

bambola di pezza (anni venti '900)

Foto d'epoca: archivio Lombardi - Castrovillari -

tratta dal volume Skarcopolli - © Edizioni Arte26

 

 

 

 

la palla di stracci (primi '900)

Foto d'epoca: archivio Zanoni -  tratta dal volume Castrovillari

 l'immagine e il tempo - Edizioni Arte26

 

 

 

il "muretto" degli anni quaranta a Morano

Foto d'epoca: archivio A. Magnelli - Morano

 

 

l'altalena

Foto d'epoca: archivio Zanoni -  tratta dal volume

Castrovillari l'immagine e il tempo - Edizioni Arte26

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