SISTEMI URBANI ARBËRESHË

 

pubblicato il 22 - 8 - 2014 -   Etnie

 

ANALISI DEI SISTEMI URBANI ARBËRESHË

il recinto, la casa e il giardino

di Atanasio Pizzi

 

Gli agglomerati urbani diffusi dei paesi albanofoni nascono secondo le disposizioni regie di

Filippo II, amalgamate alle regole consuetudinarie nel modello sociale di famiglia allargato

riportata nei dodici capitoli del Kanun.

Città policentriche, nate secondo le esigenze secolari della famiglia albanese, ognuna delle quali

diversamente da quelle che oggi conosciamo, era composta di due o più famiglie, mutuamente

coese, in genere due fratelli con mogli, le relative proli e i genitori; un numero di elementi che non

superava la quindicina, infatti, oltre questa soglia si dipartiva e davano origine a un nuovo

insediamento.

Tutte insieme, avendo la stessa origine, un medesimo sangue, lo stesso idioma, simili usi, costumi

e per questo formavano quella grande famiglia che rimane tutt’oggi identificabile nella regione

storica d’arberia.

Quando gli arbëreshë, così organizzati, giunsero nelle colline della sibaritide, si disposero nei

pressi di chiese pievi o icone, perché legati da tre elementi caratterizzanti: la lingua, la

consuetudine e la religione di rito greco bizantino.

Questi aspetti generali della vita degli albanofoni li ritroviamo in tutti i centri, nati, sopra i resti di

antichi borghi, tra la fine del XV e la metà del XVI secolo.

Un esempio di quanto affermato sono i quartieri, identificati con toponomi, tramandati oralmente,

che racchiudono quanto esposto e sono in grado di fornire traccia evolutiva di tutti i centri nati

nello stesso intervallo temporale.

Va in oltre affermato che una caratteristica che accomuna tutti i paesi albanofoni sono le feste di

primavera che rappresenta il fulcro di coesione con le genti indigene; giornata della promessa

(Besa), per ricordare i propri cari e quelli altrui, tumulati negli ambiti ora abitati dagli arbëreshë. Il

processo di trasformazione dell’ambiente naturale in costruito per opera albanofona è avvenuto in

funzione di elementi oggettivi e ambientali, quali: la morfologia, la flora, l’orografia e il clima;

aspetti fondamentali per gli esuli, perché simili a quelli della terra d’origine, per questo capaci di

mettere in atto le proprie attività di sussistenza con i pochi mezzi senza accusare dissintonie

ambientali.

Le costanti che hanno dato avvio ai sistemi urbani arbëreshë sono: il recinto, la casa e il giardino,

caratteristica urbanistica ed architettonica di tutti gli ambiti d’etnia; il recinto segna il territorio, in

cui la famiglia ha controllo assoluto, limite invalicabile per gli estranei, difeso e onorato anche a

costo della propria vita; la casa, in origine un unico ambiente realizzata a ridosso di anfratti e

completata con tronchi, rami intrecciati, foglie e argilla, il rifugio dove conservare e proteggere se

stessi e le cose più indispensabili; il giardino è utilizzato come luogo della spogliatura, dimora di

alberi da frutta e del gelso oltre che dell’orto stagionale.

L’arbëreshë si muove nel territorio in mutua convivenza e rispettoso dell’ambiente, si coordina

secondo le locali norme naturali per la valorizzazione del territorio.

Nel periodo che va dal XV al XX secolo, l’affinamento socio culturale degli esuli si adegua al

modello urbano, abbandonando quello della famiglia allargata per affinarsi in seguito

verosimilmente quello metropolitano.

Gli antichi legami parentali, disgregati in cinque secoli di convivenza, hanno continuato a essere

vivi nella mutua collaborazione della produzione, raccolta, spogliatura dei prodotti che il territorio

forniva, e oggi nel ricordo parentale di chi vive ancora gli ambiti o attraverso i multimedia per chi

si è recato in altre regioni o continenti.

In età moderna, la famiglia arbëreshë che ha assunto le sembianze tipiche metropolitane sente

ancora il bisogno di ricercare l’antico legame di sangue.

La gjitonia, “dove vedo e dove sento”, sin dal XVI secolo diviene il luogo della ricerca dell’antico

legame familiare smarrito per colpa delle nuove dinamiche sociali, si evolve in uno spazio ideale

di sensi e sentimenti, luogo non toponomato, giacché rappresenta l’ambito in cui si accomunano

indissolubilmente i sensi.

La gjitonia non è riconducibile ad ambiti materici, ma esclusivamente a rapporti personali e

interpersonali di leale e solida convivenza non asogettabili ad uno spazio fisico.

La gjitonia ha origine dal tepore del focolare e si amplifica con cerchi concentrici, come una

goccia nell’acqua, sino al lembo estremo dell’ambito urbano; entità effimera che pulsa si avverte si

respira si assapora si vede si tocca, senza mai essere tracciata con limiti fisici.

Studiare i borghi albanofoni è utile per comprendere quali siano state le dinamiche che hanno

consentito all’idioma e alla tradizione consuetudinaria più enigmatica della storia del

mediterraneo, di proporsi incontaminata senza soluzione di continuità sino a oggi.

I piccoli agglomerati urbani sono la traccia indelebile del percorso che ha unito popoli diversi, che

pur avendo lingua, religione e storie dissimili, sono state capaci di trovare le convergenze ideale

per attuare, uno dei primi modelli d’integrazione, rimanendo tutti solidamente legato ai propri

valori.

Le disposizioni regie impartite da Filippo II, le dinamiche consuetudinarie del concetto di famiglia

allargata, la conformazione orografica e l’economia produssero i primi isolati (manxane), o gruppi

di case, secondo schemi che sono riconducibili di tipo articolato o lineare. Il piccolo abituro, shpia

(casa), in origine realizzato con rami intrecciati paglia e fango, o blocchi di terra mista a fango e

paglia (kalivja), dopo la sottoscrizione delle capitolazioni, fu realizzato in pietra e arena negli

elevati, mentre le coperte furono sostituite da una lamia di coppi a falda unica sostenuta da un

doppio ordine di elementi lignei, la di cui pendenza riversava il displuvio innanzi all’ingresso

dell’abituro.

La disposizione di tali moduli elementari, è fondamentale per la ricerca evolutiva degli

agglomerati diffusi arbëreshë, in quanto, il modo in cui furono aggregati forniscono la regola

secondo la quale nascono gli isolati urbani, (manxane) che rimarranno identici per oltre due secoli.

In seguito al modulo abitativo elementare che misura circa 20 mq., fu associato un altro di uguale

dimensione, non a diretto contatto con il fronte strada, usufruendo della porzione di territorio

ancora non edificata.

I confini particellari identificabili con le tipiche rotondità, che sino ad oggi erano lette come

espedienti logistici o statici per gli edifici, sono il modo indelebile per segnare un antico confine

territoriale.

Da ciò si deduce che l’isolato, occupata tutta la porzione di terreno disponibile per cui ai piccoli

agglomerati non rimane che svilupparsi in verticale, collocando al piano terra i depositi e al primo

livello, di nuova costruzione la residenza, i due livelli sovrapposti rimasero ancora collegati da una

scala interna a pioli, mentre la copertura del modulo a due livelli continua ad avere la stessa forma,

salvo realizzare uno spazio tecnico e termico, sottotetto (kanicàri).

I frazionamenti successivi, di questi nuovi volumi edilizi, richiesero l’utilizzo dei profferli,

caratteristica adottata, a partire dal XVIII secolo, questi ultimi modificarono sostanzialmente la

prospettiva delle strette strade (ruhat) che non sempre consentivano, in maniera uniforme,

l’aggiunta del nuovo manufatto esterno, per questo motivo l’alternarsi dei nuovi accessi ci fornisce

un tessuto urbano oltremodo articolato.

Il ciclo dei manufatti abitativi delle comunità albanofone si arricchisce ulteriormente dopo il

decennio francese con la costruzione diffusa dei palazzotti nobiliari, un disegno che si ripete sia

nei centri abitati sia nelle pertinenze rurali, assumendo connotazioni formali ben definite,

rappresentativi di una classe sociale emergente, balconi, aggetti, portali e finestre sono coronate da

materiali lapidee che danno ai prospetti, delle nuove fabbriche, una regola metrica definita.

È chiaro che questo avviene solo per le classi sociali più elevate mentre quelle più abbienti

continuano a occupare i vecchi katoi e nella migliore delle ipotesi, inglobare i profferli con nuovi e

modesti volumi, che cercano di imitare almeno nel prospetto principale e l’ambito interno

dell’ingresso i palazzi post napoleonici.

Napoli 2014-05-23

 

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