Maria Luisa Spaziani e il mistero della poesia

 

pubblicato il 4 Luglio 2014 -   Letteratura

  

 La donna che conosceva i tragitti della poesia senza, però, saperne i destini

di Pierfranco Bruni

La poesia è l’ascolto di un Dio. Nascosto come si possono nascondere i segreti. Misterioso come può essere misterioso il cammino della parola nello spazio dell’anima. Avventuroso come quando l’avventura ti rapisce i labirinti del cuore.  Maria Luisa Spaziani, morta il 30 giugno scorso a 91 anni, conosceva i tragitti della poesia senza, però, saperne i destini. Nella sua voce, quella voce rauca,  era impressa sempre una frase di Gabriela Mistral:  "Il segreto della nascita di un verso è tra me e Dio".

Il senso del misterioso è un incanto che lega la magia all’inquieto di un vivere che è segno tangibile di storie.

Le storie hanno l’amore come rosa posta in un bicchiere (direbbe Franco Costabile). Ma nella Spaziani che ho letto, riletto, tradotto, antologizzata ‘è sempre un “Dio” che è manifestazione della meraviglia. La meraviglia è soprattutto nel gioco dell’amore e del disamore.

Io cerco di andare nella biografia ma superandola.

La biografia della Spaziani è “connaturata” con la figura di Montale? Una sigla che è retorica ormai. I poeti sono un incontro. Ripetibile o irripetibile, ma hanno sempre il disegno dell’incontrarsi tra i passi della luna e le pietre del vento.

È oltre Montale. Non solo biograficamente. È oltre Montale proprio sul piano poetico. Il coraggio è un rischio ma può anche essere una virtù. Voglio dire che nella Spaziani la poesia non è mai una occasione e neppure una bufera e quando si diventa saturi di parole soltanto nella ragione si cerca una giustificazione e una spiegazione. Qui è Montale. È certo che  Montale non è tra i miei poeti. Non lo è mai stato.

La Spaziani dal 1977 sì. Da quel transitare con le catene sino al ricevere dalla luna il senso di una preghiera è stata una voce, rauca, che ha seguito il battere del mio cammino in una Roma che ci ha visti insieme in incontri sulla poesia e su poeti. Ricordando Sandro Penna ho stilato un viaggio.

È proprio con la morte di Sandro Penna che incontro la Spaziani.

Mi sono laureato con una tesi sulla poesia e poi, in una nuova laurea, sui linguaggi di Penna. E la Spaziani conosceva l’estetica dell’incontro. Montale era certamente nel suo viaggio. Ma non solo. Oltre Montale c’è Elimire Zolla. L’ho già sottolineato. Ma prima di ogni percorso resta Proust. Il Proust del tempo di sabbia che fa scorrere granelli nella clessidra della vita raccogliendo il tutto nella memoria tra le pagine dell’amore.

Ebbene, la Spaziani ha sempre raccolto i petali di quella rosa nel bicchiere recitando l’amore con il sorriso e con l’inquieto che abita i cuori dei poeti.

Ancora purtroppo la critica letteraria usa luoghi comuni e si serve di strumenti didattici che impongono l’analisi del testo.

Una poesia non va mai registrata attraverso l’analisi testuale.

È una grande boiata!

L’anima di un poeta può essere vivisezionata?

Il linguaggio della poesia non è il linguaggio dell’intelletto. È il linguaggio di un segreto. Si resta sempre in comunione con Dio. È possibile interpretare una tale comunione?

Ascolto Maria Luisa Spaziani e mi canta:

“Entro in questo amore come in una cattedrale,

come in un ventre oscuro di balena.

Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte

scende un corale antico che è fuso alla mia voce.

 

Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico,

il padre, il figlio, l’angelo e il demonio.

Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio,

e le tue labbra restano evanescenti sogni”.

 

Correre tra le vie della poesia del Novecento significa anche ripartire dal capolinea. Ovvero da D’Annunzio. Ma cosa c’è oltre Gabriele che recita la pioggia e fa sognare i malleoli? Il punto è qui.

La Spaziani questi fatti li conosceva bene ed è riuscita a legare la Francia con Venezia (Ronsard e Goldoni), Torino con la mediterranea Roma, il linguaggio come tradizione e la tradizione come poesia.

Distante dalle neo-avanguardie (benissimo), Sanguineti, e lontana dallo sperimentalismo (ottimo), Pasolini, ha sempre coordinato la tradizione classica con la magica, ovvero con un verso che è alchimia. E qui la presenza di Zolla credo che resti fondamentale. Ogni poesia ha un suo destino. Certo. Ma ogni destino non si racconta. Si vive sul tracciato della luna o lungo il mistero. Questo mistero. Anzi resta il mistero. Nella poesia.

E ascolto ancora e poi mi perdo nel silenzio:

“Lo spirito ha bisogno del finito

per incarnare slanci d’infinito.

Parlo con l’angelo, e le tue braccia d’uomo

soltanto lo traducono ai miei sensi.

Dove comincia l’ala? Dove nascono

musiche di tamburi di tempesta?

Amarti è sprofondare, è una foresta

sfumante in cieli altissimi”.

Invito il gentile lettore a vivere questi versi. A custodirli. A leggerli con gli spazi del cuore. A toccarli con la pelle e con le rughe.

Mio caro lettore, non distruggere la poesia cercando di spiegarla… Sarebbe la fine e saresti anche tu fottuto…

 

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