FRANCESCO GRISI

Gli studi del Centro Ricerche "Grisi" sullo scrittore di Cutro

 

pubblicato il 9 Maggio 2014 -   Letteratura

Un ricordo con un racconto inedito e una “Passeggiata tra i luoghi dello scrittore”

 

 di Pierfranco Bruni

  

Ricordando Francesco Grisi...

Anni lunghi sono trascorsi. Anni che non hanno mai diviso i nostri incontri. Tra la vita e il ricordare. Lo scrittore Francesco Grisi nato il 9 maggio del 1927 e morto il 4 aprile del 1999 è un tracciato nella mia vita. Con le sue parole e la sua ironia. Con il essere cristiano nolente o volente. Ma anche eretico lungo le strade di Prezzolini e Buonaiuti. Ma il suo raccontare trovava sempre un punto di riferimento sia nei monaci del deserto sia nella figura del gigante San Francesco di Paola.

Nei suoi romanzi tutto questo è scritto. Ma dopo i numerosi libri che ho dedicato a Grisi mi sono imposto di rileggerlo nella sua complessità partendo da “A futura memoria”, “Maria e il vecchio” e “La poltrona nel Tevere”.

E attraverso i suoi libri di poesia. La poesia segna il cammino degli spiriti inquieti.

Noi siamo nella inquieta solitudine della ricerca. È stato un maestro, nella sua coerenza, per come ha testimoniato, per come ha vissuto, per come ha amato. Sulla mia scrivania non mancano mai i suoi libri. Un vizio. Ma non assurdo. Di vizi assurdi abbiamo parlato tanto discutendo su Pavese. L’ho incontrato in una Roma infuocata. Era il 1978. L’anno della morte di Giuseppe Berto e Ignazio Silone.

Ebbi modo di conoscere Grisi alla Libreria Croce di Roma in Corso Vittorio Emanuele. Si presentava un libro di Alberto Bevilacqua. Anni terribili. Mi colpì la sua pazienza e la sua ironia fu una lancia. Sapeva leggere la storia con i raggi del futuro.

Capiva il presente con l’interpretazione del quotidiano. Viveva il moderno con lo scavo nel contemporaneo. Sono passati anni lunghi e il tempo è infallibile. Dalla memoria alla nostalgia. Dal ricordo alla solitudine.

Mi ha lasciato, qualche ora prima che andasse in coma, con queste parole: “…lascia stare tutto ciò che ti circonda. È un istante. Non dimenticare mai che sei uno scrittore, un poeta… Scrivere è un mestiere nella solitudine. Lo scrittore è sempre solo. Nella santità e nell’alchimia. Non vivere mai un amore e non pensare che possa esistere il grande amore. Esiste l’amore e gli amori. Quando il silenzio prenderà il sopravvento sulla parola. Continua ad ascoltarti. Arriverai ad un altro libro. Ciao!”


 

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RACCONTO INEDITO

 

È il 2 aprile. San Francesco. Il Santo di Paola

Tra Vincenzo Padula e Giuseppe Battista

Cammino per non perdermi

 

di Francesco Grisi

 

      2 aprile. San Francesco di Paola. Il mio Santo. In Calabria tutti siamo devoti a San Francesco. Il paolotto viaggiatore. Come Paolo. C’è un messaggio che Paolo ha trasmesso al Santo di Assisi prima e al Santo di Paola dopo. Ma tra Francesco il calabrese e Paolo di Tarso e di Damasco c’è il mosaico del Cantico dei Cantici. Porto nel mio portafogli l’immaginetta del calabrese. La santità è mistero nella mia vita. Da Paola in Francia. San Paolo e Paola del Calabrese. Come si intrecciano le parole e tutto diventa vocabolario. Ma. Vado. Oltre.

      Mi trovo a Taranto. E. poi. Grottaglie. Come respiro bene tra le lunette del chiostro di Grottaglie. È come se mi trovassi nel chiostro di Paola. Il racconto si fa destino. La letteratura è un intreccio. Come tanto tempo fa. I colombi della nonna ritornano. In questo cuore di Magna Grecia. Le mie radici. Ci sono suoni. Campane. E' Pasqua. Il Venerdì Santo. Le feste sono nei ricordi. I ricordi sono nella vita.

      Ho letto un poeta che sembrava non appartenermi. In questi giorni. Fiori di mandorlo. La mia terra è un'isola. Leggo questo poeta pugliese nei tramonti della Canonica di Todi.

      Leggo Giuseppe Battista. Il poeta che recita il mio Santo. San Francesco di Paola. Alla Corte di Napoli il Regno Apulo - campano. Giuseppe Battista.

      Il Seicento del Barocco. O il Barocco che entra nel tempo del Seicento. Canta in un'eco di immagini. E' un poeta cristiano. Volenti o nolenti si è cristiani. Ma capì Masaniello. Lo volle capire per non dimenticare i destini di un popolo.

      Pierfranco mi ha fatto conoscere Grottaglie. Mi aveva parlato spesso di questa rupestre che cammina nella storia. Lì nacque Micol. A Grottaglie. E poi venne Virgilio. Il mondo ebreo con quello romano. Gerusalemme è una Terra Promessa. Siamo scrittori o forse fantasmi. Ma gli scrittori rincorrono i fantasmi. Grottaglie.  La vecchia città. Abitata un tempo. Ora riabitata. I vicoli tracciano simboli.

      Il cerchio. La magia. Battista sapeva la profondità del simbolo del cerchio.

      E. Poi. C'è di mezzo il Santo di Paola. Il mistero che chiede di essere ascoltato. La storia non è mai un racconto reale.

      La finzione è un velo. La letteratura abita la storia e la finzione. E' necessario conoscere la menzogna per non lasciarsi aggredire. Siamo graffiati dalla bugia. La bugia. Battista. Un poeta che ha tagliato le verità perché era consapevole che la menzogna è una giostra.

      Scrivendo sulla menzogna ha recitato il rosario della vita. Non posso dire che posto occupa nella storia della letteratura. tutto mi frana intorno. In questo momento cerco di leggere la vita oltre la storia. Il tempo non è marginale.

      Vivo ormai accordandomi con il tempo. Io. Che ho amato Iacopone. E. Ho rincorso i viaggi del Santo di Paola.

      Mi hai chiesto di leggerlo. Caro amico. In questa mia nostalgia di Templi greci e di paesi che navigano non ti voglio deludere. Non c'è solo Barocco. Il Barocco che si stordimento di linguaggi ma il greco che è in noi è quel greco che ha squarciato la parola. In Battista.

      Poi. Tu conosci il resto.

      Ti leggo. Per ricordarti. "Fuggo le patrie mura, e corro in parte/dove umane vestigie occhio non vede./E fuggirò, s'altri di me s'avvede,/dove Febo non mai raggi comparte".

      Questo è il Giuseppe Battista che maggiormente colgo.

      Batte il mio male. Sento le campane. Ritornare. Il paese. Il tempo. Andare via. Ti leggo altri versi di Battista.

      "Miro quel giorno pur, che de' miei giorni/sarà fausto preludio alla quiete,/ed io, sepolta ogni fatica in Lete,/oziosa godrò l'ombra de gli orni".

      La memoria invade. Io sono ormai come San Bernardo. Battista ha parlato di San Bernardo. Due quartine e due terzine. Con rime.

      Ecco. La quartina prima: "Entra d'acque canute a gorgo algente/l'ospite d'una valle al Ciel gradita,/e mentre all'ardor suo l'onda marita,/porge freddo rimedio a mal cocente". Ecco.

      La terzina ultima: "Così colei che Amatunta è nume,/ed accende ciascun d'insana arsura,/come nacque nel mar, more nel fiume".

      Tu mi parli delle pagine sulla menzogna. Ho letto. Ricordati la poesia. Le pagine sulla menzogna nascono dal furore.

      La poesia è acqua chiara e fresca. Dobbiamo attraversarla la cristianità. Senza arrenderci.

      Padre Pio. Un'ansia di fede ci guida. La poesia è fede. Non potrei capire altrimenti il Santo paolano recitato dal Battista. Questo poeta che cercava di navigare il deserto come se fosse acqua. Il furore si racconta nel rimorso, nella paura, nella solitudine e nella religiosità intuita.

      E. Dopo. C'è il furore del dies irae.

      L'uomo sembra balbettare l'antica nostalgia per trovare quel mistero annegato nella superbia, nel potere e nella violenza. La contemporaneità. Battista sembra un nostro contemporaneo.

      Tutto è scritto contemporaneamente e ogni cosa possiede il suo tempo eterno. E l'eternità non ha passato, o presente, futuro. "Meraviglia non è, se 'l mar spumante/non ti sommerge, e ti tragitta illeso,/ché chi colpe non ha, non è pesante".

      Siamo al San Francesco di Paola. Il mare. Il mantello. La Calabria, la mia la nostra. L'antico nel moderno. Viaggiare.

      L'uomo è un viandante che sembra cerca di capire i segreti del concreto nella diabolica presunzione, nella furiosa passione e nel soavissimo abbandono. E forse muore sempre per risorgere sempre: per una legge biologica che stranamente somiglia alla tentatrice preghiera mistica.

      Il mondo è popolato da creature immortali che apparentemente muoiono in una notte di freddo.

  Ombroso, scanzonato, polemico. Un poeta che sa che la Provvidenza c'è. E' forse destino che la morte colga gli uomini fortunati al giusto momento. Soltanto la Provvidenza conosce, però, il giorno giusto per morire. Non prima e non dopo. Mi ricorda un altro Francesco. L'Assisano. Battista si è impegnato con il Messia.

      Come Iacopone.

      E. Poi.

      Come Rebora. Rebora. La nostra contemporaneità. Il Sacro e la Grecia. Il Padre. Il Papini della conversione. Nel sentiero degli incontri. Il racconto del Sacro non dimenticando il Mito.

      Lo scrittore cristiano nei secoli si è impegnato con il Messia, figlio di Dio, venuto sulla terra per salvare tutti gli uomini.

      Allora. Battista ha un tracciato di Sacro e di Mito.

      Prima o dopo lo scrittore come artista o come intellettuale deve convenire che la storia è impastata direttamente del messaggio che il cristianesimo ha consegnato al mondo. Ma ci sono le utopie.

      Lavoro ad un libro dal titolo provvisorio "Elogio dell'utopia". E Pierfranco rilegge “Elogio della follia”. Tra l’utopia e la follia c’è un legame. Ne parleremo in un convegno a Palermo. Tra qualche giorno. E. poi. C’è il Futurismo. Il lavoro ormai mi stanca. Fatico molto. Forse dovrei inserire in questo mio libro, appena cominciato, Giuseppe Battista.   

      Non so.

      Allora.

      L'utopia è sempre rivelazione.

Poi. Cosa resta? "Tormentato mio cor, fusti piagato/da gli strali colà di rea fortuna,/qui fra' ceppi d'Amore imprigionato".

      L'utopia non conosce l'arroganza. Poi. Altri giorni. Forse altri destini. Ritorno in questo camminare viaggiare. Tra i vicoli. Lastre di pietra levigata. Una volta abitava qui.    

      In questa città del chiostro del Santo di Paola. E poi nel Regno di Napoli. Per vincere la menzogna dobbiamo abitare l'utopia.

      E poi.  "Perdonatemi, o muse".

      Ritornano i colombi. La nonna attende i colombi. Io, infanzia a Cutro.

      Fiumara.

      Cosa mi reciterà ancora questo poeta? Mi ricorda Vincenzo Padula. O Giacchino da Fiore. E. poi. Ancora. Tommaso Campanella. La città del Sole. Il sole. Qui a Grottaglie c’è il sole. È il 2 aprile. Fine anni novanta. 1998. Ma Padula recita ancora il Santo di Paola. San Paolo mi parla della forza. Penso a Padula. Con Battista ha in comune il "mio Santo".

      Tutto è un cammino.

      "Tormentato mio cor…". Questo mio cuore resta nel tormento. Non conosco più

pretese ma solo attese. Chissà… La letteratura è la vita? Per uno scrittore forse sì. Anche la vita è letteratura. Le memorie di Adriano mi perseguitano. Anche qui.


 

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La Magna Grecia è un viaggio e una metafora nelle poesie inedite di Grisi


di Marilena Cavallo


"Cutro. Le donne hanno il mare negli occhi e portano la terra tra le mani.
Hanno il passo austero. Come le camminatrici di Itaca che sanno cosa è l"attesa".

"Viaggianti tra isole.
I popoli di Magna Grecia
Sostano nel cuore della notte.
Si precipitano all'alba
Sulla spiaggia di Cutro.
Tirano le reti
Dei pescatori
Giunti dal mare.
Con le lampare
Tiepide e lente".

Francesco Grisi così racconta lembi di Magna Grecia. Lo fa conoscendola nella storia e nella geografia.
Non dimentica i dettagli. Anzi si serve proprio dei dettagli per definire una magica realtà in una poetica che è vita.
La sua Magna Grecia resta un viaggio. Si incornicia, come si è già detto in altre occasioni, nella metafora di Pitagora e nella Colonna che il mare custodisce tra il vento e il mito.
La sua Magna Grecia è il simbolo che si vive nei segni che provengono dalle conchiglie che il mare depone sulla riva.

"Il mare. Ancora. Il mare accompagna sulla riva cocci di memoria.
Le nostalgie disegnano gli arcobaleni che la pioggia non custodisce più.
Poi. Ci sarà ancora il mare.
Vorrei addormentarmi su un'onda quando tocca un'altra onda".

La Magna Grecia è un tempo che si intreccia alla tradizione e questa tradizione non è un immaginario.
Nel cavo della conchiglia si conservano gli echi. Ogni eco è una voce che ha segreti e misteri.
Grisi lo sa. Accompagna le parole legandole sempre ai ricordi. Ricordare è vivere l'attimo nel gioco del tempo che si sfoglia tra le pagine del sogno. Il sogno. Ma la Magna Grecia è anche sogno.
Così:

"L'onda chiama l'altra onda
e i pescatori, al riparo del vento,
seduti al limitare delle barche,
rattoppano le maglie delle reti.
Il meriggio ha il sole del sogno.
Il sogno
ha il meriggio nel silenzio".


Le poesie proposte sono completamente inedite. Mai fotografie ingiallite. Ricordi e tempo. Mai rimpianti. Ma nostalgie.

 

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Con una poesia inedita “Il Canto di Pitagora”  ricordo Francesco Grisi 

morto il 4 aprile di 15 anni fa

di Pierfranco. Bruni


Il 4 aprile del 1999, era di Pasqua, moriva Francesco Grisi.

Era nato da genitori calabresi, di Cutro, il 9 maggio del 1927.

Una vita dentro la letteratura. Una vita per raccontare.
Sempre si racconta. Anche quando le parole non si scrivono. Anche quando le parole vengono taciute. Anche quando le parole non dicono. Sono trascorsi tre lustri e tante lune hanno illuminato il cammino lungo le vie delle tende. Francesco l'ho conosciuto a Roma.
Era la fine di ottobre. Libreria Croce. Corso Vittorio Emanuele. Roma è stata sempre una città che accoglie. Non ha mai allontanato nessuno. Una città dei mediterranei diffusi e degli Occidenti che si cercano negli Orienti. Dunque. Si presentava un libro di Alberto  Bevilacqua.
Ho ascoltato l'intervento di Grisi. Le sue parole erano impastate di malinconia e di ironia. Parlò dell'amore e del senso di morte che ogni amore richiama tra gli echi di uno spazio che si vorrebbe nel quadrante del tempo infinito. Citò una frase di uno scrittore che sarebbe morto dopo qualche giorno. Giuseppe Berto. Bisogna poter scrivere fino al punto di non scrivere più perché si deve avere la consapevolezza che anche quando si dice la verità l'altro possa pensare che sia finzione.
Grisi è  stato sempre un giocoliere nel circo dei clown che conoscono il riso e la beffa, la cialtroneria e il senso tragico, la vita fino a sfidare le ira degli dei e la preveggenza di Tiresia. L'ho rivisto soltanto qualche giorno dopo ai funerali di Giuseppe Berto. Conoscevo Berto, allora, soltanto perché era l'autore di  "Anonimo veneziano". Un film  e in testo che hanno segnato non sola la mia vita di scrittore, ma anche il mio tracciare l'esistenza. Poi ho conosciuto tutti gli scritti Berto. E Berto era molto amico di Grisi.
Allora, altre lune ancora hanno solcato le orme  e i passi sono diventati pesanti e scavati nel furore degli anni. 1978. Anno in cui ho conosciuto Grisi e Bevilacqua. Anno in cui sono morti Berto e Silone. È l'anno in cui mi sono laureato.
Avevo già pubblicato tre libri. Ma da quel tempo in poi il mosaico della mia vita vive i suoi labirinti tra le età che non smettono la conta. I romanzi le poesie la critica dello sguardo di Grisi sarà il mio riferimento.
Cosa ricordare ancora dopo i miei tanti libri che gli ho dedicato? Ho scritto con devozione. Con cuore amico, come intitolammo un mio libro del 1990 che ebbe numerose edizioni. Ho scritto su Grisi con la consapevolezza di sostenerlo e di proporlo sempre come uno scrittore faro.
Siamo stati sempre del parere, io e lui, che non esistono scrittori maggiori o minori come non esiste la letteratura maggiore o minore. Esiste lo scrittore. Esiste la letteratura. La miseria di chi non sa leggete o di chi legge con gli occhi rivolti alle sovrastrutture ideologiche può inventarsi classificazioni. Il vero critico è sempre uno scrittore, ma spesso la sua anima ha la leggerezza del vuoto. Comunque, Francesco Grisi a 15 anni dalla morte resta uno scrittore faro. Soprattutto oggi che la cronaca la si impone come uno spazio letterario. Il resto non è vicino alla noia, è noia.
Come ricordarlo,allora? Vin dei verso inediti che spesso mi fanno compagnia tra i suoi inediti.
Così.


IL CANTO DI PITAGORA


Ho vissuto l'infinito tra strade
battute dal mare,
ma non ho mai abbandonato
lo scoglio di Pitagora.
Lì dove le onde
abitano le rocce
e le sirene
cantano
l'ultimo suono di Ulisse.
Sono sceso
sino alle radici
per raccogliere
le memorie dei secoli
e custodirle
nei giorni
della Terra Promessa.
Le donne dai riccioli neri
danzano
tra i numeri di Pitagora
e il canto
ha le malinconie delle partenze
nei viaggi dell'infinito.
Cercare un ritorno
è come aspettate mio padre
sul cancello del giardino
mentre coltiva orchidee nel vento
e rose tra i rossi papaveri.
L'ultimo canto di Pitagora
è soltanto un soffio di mare.


1998, Cutro

 

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Le coste e la piazza hanno l'ombra di Pitagora

nella Calabria di Francesco Grisi


di Marilena Cavallo


"La piazza è una voce.
La voce raccoglie echi di mare.
Le coste hanno l'ombra di Pitagora
e  i numeri sono nel vento.
Ho camminato. Nel girotondo delle parole
nell'ascolto. E poi. Verranno i pescatori
con il sale del mare di Cutro
".

Lo scrivere di Francesco Grisi è un adagio che si raccoglie in chiare immagini che sembrano, a prima lettura, quasi descrittive o "fotografiche", ma costituiscono un mosaico i cui tasselli sono spazi di memorie. Queste memorie sono fatte di luoghi e si definiscono in un caratterizzante immaginario.
La Calabria e Cutro, in particolare, sono elementi, in Grisi, poetici.

Spesso ritorna la figura di Pitagora ed è visto come metafora di una profonda grecità, ma anche come fondamentale incastro di radici.

Nell'insieme si avverte, con coerenza, un linguaggio dalle forti tonalità ironiche.
L'ironia è  anche il riso istrionico, ma è soprattutto il tempo consolidato delle malinconie. Nella poesia, inedita, riportata ad incipit, dal titolo: "La piazza è una voce",  si registrano tutte le componenti di una esistenza di un luogo che è ben metaforizzato tra il mare, Cutro e i simboli che ogni parola sottolinea.
Bisogna fare attenzione anche ad una singola parola  considerato il modello linguistico e la presenza o l'assenza della punteggiatura.
La piazza di (o in)  Grisi è sempre un luogo mediterraneo. È l'agorà nel vero concetto che offre un senso allo spazio metaforico e reale dell'incontro tra l'immaginario, i ricordi e la contemplazione. Nella cultura mediterranea la contemplazione dei luoghi è una chiave di lettura.

La grecità nella Calabria è testimonianza contemplante.
Così come in questi altri versi in cui la piazza è ancora un riferimento.

"Di notte. Ho sostato nella piazza.
La luce. Il riflesso della luna. Passeggera
nel trascorrere del vento. Io. Nel gioco di una partita a scacchi ho raccolto l'infanzia di mio padre. E. La nonna. Dialoga con i colombi.
Cutro è una vita. Il resto sono città.
Nelle estati con il fuoco del sole poi
si scendeva a mare
".

Il titolo: "Nel trascorrere del vento, a Cutro". Inediti anche questi versi. Molto inteso il passaggio nel quale si sottolinea che Cutro è una vita mentre tutto il resto è come se passasse nell'anonimo delle città.
Insomma la memoria è una costante del ritornare "pavesianamente" a un paese. In quel paese che significa la sconfitta del non essere soli.

Francesco Grisi è come se raccontasse, ma è anche se se si raccontasse recuperando tempo e storia. La sua storia in un tempo che non è  comunque mai fermo.
La poesia, il romanzo, la riflessione critica rimandano spesso ad una lunga "leggenda" che è il "racconto" di una vita.

La Calabria, Cutro, il Mediterraneo restano, dunque,  radici. Ma sono anche un viaggio.

Un viaggio vissuto con il sogno e l'attrazione di Pitagora nel custodire memorie.

 

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I Mediterranei e il Mediterraneo nella poesia di Francesco Grisi

a 15 anni dalla scomparsa il 4 aprile

 

di Pierfranco Bruni

 

Il 4 aprile del 1999 moriva Francesco Grisi. I Mediterranei e il Mediterraneo sono luoghi e saperi, anima e metafore. I mari della terra in Francesco Grisi, di cui ricorre il quindicesimo anno dalla morte, appunto,  il 4 aprile, sono scavi di vita.  IL Mediterraneo come luogo di un abitare la geografia dell’anima, dell’esistere, dei paesaggi. In una poesia datata Luglio 1967, ore 18, Francesco Grisi (Vittorio Veneto, 1927 - Todi, 1999) annotava: “Viaggiare non è vedere/viaggiare non è affermarsi”.

Il Comune di Cutro ricorderà questo anniversario con il Premio Grisi e con un Convegno dedicato proprio al Mediterraneo.

Il tema del viaggio, in Francesco Grisi, resta fondamentale. Il viaggio e il viaggiatore. Andare e tornare nelle maree del tempo.

 

Il viaggio nella poesia e la poesia che si fa viaggio. Poeta del viaggio. Poeta del ritorno. Un linguaggio che si abbandona al racconto e si lascia ascoltare non con una tensione narrante ma con un battuto lirico che ha richiami di antichi segni metaforici. Il raccontare è soltanto un incidere nel linguaggio anche se la punteggiatura resta comunque nella cadenza poetica.

La poesia di Francesco Grisi è una recita costante che si definisce su alcuni riferimenti di fondo. La materia del linguaggio è parola vissuta, sofferta, angosciata. Il linguaggio è un’onda di nostalgia che si intreccia a delle dimensioni oniriche che ritrovano eredità messianiche e approfondimenti ellenici.

La Calabria di Pitagora o il cielo della Magna Grecia rendono alcune delle tante fisionomie del Mediterraneo:“Il Mediterraneo/è la mia piazza infinita”.

 

Qui, nella poesia di Grisi, non  è soltanto un luogo geografico, ma è soprattutto un luogo dell’essere che si manifesta attraverso gli strumenti della poesia. Una poesia che ha suoni ed echi a volte andalusi che si dichiarano in un progetto di vita che sprigiona tenerezza, confessioni di amori, cammini che solcano il tempo.

I luoghi del tempo sono, infatti, i luoghi di quella poetica del mito che si intreccia con i giochi della memoria. I ricordi sono nella memoria. E’ profondamente una poesia della memoria. Una poesia del viaggio e del ritorno.

 

 

Il cerchio infinito, metafora grisiana,  che è il sentiero metaforico di una circolarità del tempo non vive solo dentro la concezione della vita ma è parte integrante di una visione della letteratura nel rapporto con il tempo e con la vita stessa.

L’amore, la fede, il viaggio, il tempo-mito sono dei “dettagli” che costruiscono la poetica di Grisi. E il linguaggio è quello che viene recuperato dalla sua prosa e trasformato nella metafora lirica.

Francesco Grisi resta profondamente un poeta. Un poeta dei colori. Un poeta che realizza immagini ma sa catturare, con i fantasmi delle parole che si agitano tra un salire e uno scendere tra i versi e nell’intreccio dei ricordi, intercettazioni oniriche.    

Quelle intercettazioni oniriche che rendono comprensibile la pazzia. L’amore, la fede, le avventure girano nell’immenso misterioso della pazzia. Un percorso pavesiano è dentro il senso poetico di Grisi ma ci sono verniciature lorchiane che sprigionano, appunto, il vento di un Mediterraneo che non abbandona mai la liricità della sua poesia.

Il pavesismo: “Al termine/del giro - cerchio ci accorgeremo/che c’è il nulla. O il tutto./Il nostro incontro è un gioco…/ Nella sera hai tremato”.(da “Stanotte hai detto che il giorno”).

Ma Grisi ha una sua autenticità di fondo. Le parentele formano la intelaiatura letteraria, formativa, critica. Ma il poeta ha una voce autentica e originale soprattutto per la misura del verso e per il metro del linguaggio. Linguaggio che diventa vita e tempo. Il mare e il deserto sono le metafore che hanno un significato certamente poe-tico ma anche culturale. L’incontro tra la cultura dell’Occidente e quella dell’Oriente.

La donna orante, la donna  preghiera, la donna viaggio, la donna attesa, la donna peccato, la donna amante rappresentano tutte la donna profezia ma anche la donna nostalgia: “Vorrei amarti in un dolciastro tramonto/nella gialla foresta dei girasoli” (da “Risvegli improvvisi”).

L’uomo con il suo bisogno di rivelazione e di redenzione ha un suo cammino specifico e recita senza maschere la nudità del sentimento. Un sentimento che condensa manifestazioni di tempo.

Così in “Nel pensiero di te”: “Nel pensiero di te incontro il peccato./Il desiderio corrompe il sogno./Il fantasma nell’attesa è più del reale./I baci finiranno dopo la notte./E le mani geleranno per paura./Ti guardo. E mi accomodo con il tuo fantasma./Deserto e cielo. Carovane promesse./Mi perdo. E non mi trovo nel risveglio./L’amore è sogno che resta eterno./E’ strano come tu possa resistere/In questo mio  amore cattolico./Forse il cuore non chiede ricompense./L’abitudine è la nostra terra peccaminosa”.

E’ una delle poesie che rivela una straordinaria tensione lirica e sentimentale. Un vissuto che entra nella parola e viceversa. Un vissuto che comunque non lascia trasparire quella storia raccontata come cronaca.

Quest’amore immenso che segna nel tempo il poeta e l’uomo in un linguaggio (ovvero in una semantica di perfetta eleganza nell’originalità dell’offerta stilistica) che si fluidifica e trasmette incanto e immagini. Questa pazzia dell’amore peccaminoso vissuto però con la bellezza che si addice al poeta fa coppia con i temi di un ellenismo marcato, nel quale il ritornare alle appartenenze perdute, alle radici, alla terra è un costante singulto dell’anima. L’isola dell’anima.

Il ritorno all’isola, al paese, al centro di una identità riporta una linea mediterranea di matrice kavafisiana ben indicata.

L’Itaca che è ritorno in Grisi ha un valore mitico ma anche cristiano. Di una cristianità paolina. Il senso di morte è un “sentimento” di comunione che diventa un “affettuoso sentiero”. Affettuoso sentiero è appunto il titolo di un suo libro di poesie risalente al 1994. Mentre le poesie di Un amore  sono del 1992.

 

L’amore, dunque. L’amore sogno che racconta una favola. Ma il tempo del sogno ci riporta al viaggio. La vita come viaggio nella letteratura che è viaggio grazie ad una indefinibile nostalgia.

La poesia di Grisi si traccia proprio attraverso  l’indefinibile nostalgia in una memoria che continua la sua recita oltre la vita stessa. Restano i segreti nel misterioso incanto:

“Ho segreti da custodire. Teneramente” (da “Nel confine della solitudine” in Affettuoso sentiero).

Non solo metafora. Ma il misterioso, come si diceva, che gioca in quel cerchio magico che raccoglie il tempo. Il mare, i ritorni, le partenze, la provvisorietà sono singulti dell’anima. Spazi indefinibili nel cerchio dell’infinito.

 

Francesco Grisi è un poeta del viaggio nel tempo che intreccia i fili di un tempo che è memoria, magia e nostalgia.

Poesia della nostalgia? Poesia nel destino dei segni che incidono solchi. Tutta la nostalgia di Grisi è nostalgia del centro e del labirinto. Il labirinto non è solo grecità. È Oriente che incontra l’Occidente. Ovvero è l’incontro dei Mediterranei.

 

  

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