FERRAMONTI LUOGO DELLA MEMORIA E DELL'AMMONIMENTO

 

pubblicato il 24 gennaio 2015 -   Costume e società

Tempo di memoria

di Maria Zanoni

Ho visitato più volte l’ex campo di concentramento Ferramonti di Tarsia, il più grande lager italiano, istituito dal regime fascista nel 1940; con le sue 92 baracche e gli oltre 2000 «ospiti», è stato il più grande centro di raccolta di ebrei in Italia, dopo la promulgazione delle leggi razziali.

La mia prima esperienza col campo avvenne alla fine degli anni Sessanta, quando ancora nessuno aveva il coraggio di parlare di quel luogo che custodiva tante memorie, che molti cercavano di rimuovere.

Mentre avanzavano i lavori della costruzione dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria, che divise in due l’ex campo di confino, erano visibili alcune baracche bianche, usate per ricovero di animali e mezzi agricoli, altre sventrate, col tetto crollato, e dappertutto filo spinato, mezzo arrugginito, aggrovigliato intorno a pali di legno. La miseria della popolazione del luogo aveva fatto incetta di tegole, mattoni, finestre e tavole per alimentare il fuoco con cui riscaldarsi.

Percepivo solo un senso di desolazione e di abbandono. Le scene rurali impedirono l’affiorare di particolari emozioni. Ma in verità non avevo ancora capito di che luogo si trattasse. I manuali di storia del Liceo, allora, accennavano solamente a queste realtà, con cautela, e mancavano in assoluto di iconografia.

Ci tornai dopo alcuni anni a Ferramonti, quando già sapevo bene cos’era  un lager, ed avevo maturato una discreta esperienza nella ricerca nel campo dell’antropologia visiva. E in una delle giornate della memoria, organizzate dalla Fondazione Ferramonti con lo scopo precipuo di promuovere la conoscenza e favorire la crescita di ideali di libertà e di democrazia, conobbi ex internati come  la scrittrice Elisa Springer, Rita Koch, Franklin, testimonial di una esperienza da ricordare e non ripetere mai.

Poi nel 2005 visitai il campo con una guida d’eccezione: il geometra Antonio Stillo, che del campo aveva avuto esperienza diretta.

Stillo era figlio del proprietario del fondo confinante e da ragazzo, con un permesso speciale di accesso, frequentava il campo e lì ebbe ottimi maestri che lo istruirono.

All’interno funzionava un asilo, una scuola ed un ambulatorio medico. Qui conobbe i fratelli Schwarz che gli avevano regalato un cofanetto in legno con significative incisioni e disegni pirografati. Ed a quel punto la mia mente andò indietro di molti anni, al giorno in cui da bambina conobbi il dottor Ladislao Schwarz a Castrovillari, e mi ricordai del volume di anatomia patologica, edito nel 1957, che contiene 220 disegni dell’illustre chirurgo.

L’anziano geometra raccontava che tra gli internati vi erano intellettuali, musicisti, pittori, artigiani, di varie nazionalità che avevano rapporti cordiali ed amichevoli con la gente del posto e dei paesi vicini, che offriva agli “sfollati” prodotti raccolti nelle loro terre.

Erano tempi di guerra e di fame, ma la solidarietà e l’umanità proverbiali della gente di Calabria superava ogni barriera, religiosa, politica, fisica.

Allora seppi che quel che resta sono le baracche utilizzate come uffici dall’Amministrazione e di quelle in cui dimorarono gli internati ne restano un paio fatiscenti, inglobate in costruzioni di epoca recente.

Le testimonianze di Stillo, della famiglia Toscano e di altri amici di Tarsia sono state spunti preziosi per una mia recente ricerca sui beni culturali del territorio.

E Ferramonti è un bene culturale da conoscere e tutelare.

Dunque, proporre qualche spunto di riflessione sulla giornata della memoria non è mai superfluo o inutile. Soprattutto quando in molte scuole di ogni ordine e grado, anche nella nostra regione, si organizzano cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di riflessione, in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei lager nazisti.

In molti si chiedono se tutto si risolve in una stanca ritualità, se la porta dell’archivio della nostra memoria, individuale o collettiva, si apre solo il 27 gennaio, magari davanti ai media, e poi si chiude; oppure si chiedono se la Scuola, agenzia deputata ad “insegnare a vivere”, tuteli la memoria, l’atto del ricordare: uno dei fondamenti etici dell’individuo.

In molti si chiedono quanti insegnanti riservano nelle loro programmazioni annuali spazio alla giornata della memoria... Quanti docenti avranno menzionato almeno una volta ai loro alunni il nome di Ferramonti di Tarsia... Quanti avranno visitato essi stessi l’ex campo di concentramento (a due passi da casa) o ne avranno proposto la visita guidata, per insegnare agli allievi la lettura del territorio, per scoprire tasselli di storia sepolti in esso, come nei duecento luoghi di deportazione, istituiti dai fascisti?!?

Molti paesi occidentali ed il Parlamento italiano hanno scelto il 27 Gennaio come giorno della memoria, dedicato al ricordo della Shoah, perché in questo stesso giorno del 1945 venne liberato il campo di Auschwitz.

La memoria è un potente strumento per capire il presente. Ed i valori cui s'impronta sono quelli della civiltà, del rispetto dell'altro, della sua diversità, delle sue idee, anche se non condivise, e soprattutto del rifiuto della violenza.

Allora memoria significa principio di solidarietà.

La memoria non coincide con la storia, anche se ambedue sono riferite al passato. La storia è la ricostruzione, spesso incompleta del passato. La memoria è un legame che si vive nel presente. Ed il luogo rinsalda la memoria. La memoria è radicata nel luogo stesso, pertanto presuppone una raffigurazione ed una frequentazione.

A tanti Ferramonti nel giorno della memoria racconta la storia di più di duemila deportati nel campo costruito nel 1940 in una contrada paludosa e malarica, a sei KM da Tarsia, perchè morissero di privazioni e stenti, di tifo e scabbia.

Era costituito da 92 baracche il lager, su un territorio di circa 160 mila metri quadri, circondato da filo spinato e sorvegliato dalla milizia fascista. Dopo alcuni mesi il campo non accoglieva solo ebrei, ma anche altri profughi apolidi o di nazionalità polacca, ungherese, greca, cinese. Gli internati non potevano lasciare il campo senza uno speciale lasciapassare e non potevano uscire dalle baracche prima delle sette e dopo le ore 21. Non potevano occuparsi di politica e, senza autorizzazione, non potevano leggere libri e giornali in lingua estera; era proibito l'uso della radio e degli apparecchi fotografici. Le provviste alimentari erano scarse e la malnutrizione rendeva difficili le condizioni di vita nel campo, che tuttavia ebbe il privilegio del sostegno morale della popolazione del luogo, accogliente e molto umana. Nel campo le giornate non passavano mai, nonostante dopo qualche tempo si era andata organizzando la vita sociale. Ma il desiderio di libertà regnò sovrano fino al 17 settembre del 1943, quando gli alleati liberarono gli internati.

Oggi restano pochi ruderi del grande campo di concentramento.

Ma il Museo internazionale della Memoria, istituito nel 2004, e le iniziative della Fondazione Ferramonti tengono deste le coscienze.

“Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore.” afferma lapidario nel suo romanzo-saggio "Se questo è un uomo" lo scrittore Primo Levi, indimenticabile voce dell’olocausto.

Il tempo verbale è testimonianza di un fatto che appartiene alla storia.

E noi siamo figli di questa storia, di chi ancora può testimoniare direttamente delle atrocità perpetrate con le leggi razziali.

La Scuola, dunque, al di là di ogni ideologia e di ogni morale, deve difendere i valori che caratterizzano l'individuo. Deve “frequentare i luoghi della memoria”, che siano monumenti, siti o idee, insomma valori, largamente condivisi, intorno ai quali si è depositata nel tempo la memoria.

 

 

Nella foto da sin: Maria Zanoni con Rita Koch, ex internata.

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