Umberto Boccioni e il futurismo

pubblicato il 27 marzo 2009 - Editoriale Arte

LA DONNA NELL’ARTE DI BOCCIONI

di Adriana de Gaudio*

 

la madre

 

 

antigrazioso

 

Ignoto, abisso, inconscio, immenso, luce, sole, fiamma: sette note-chiave che si rilevano dal contesto delle teorie di Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882 - Verona 1916), epigone del Futurismo; note che, pur nella loro sonorità timbrica, di eco marinettiana, permettono di far captare, nella complessa rapsodia dei vari manifesti e trattati, l’autenticità del tono di voce del Boccioni prefuturista, artista portato alla ricerca di definizioni, propenso a cogliere e ad assimilare le varie suggestioni di esperienze culturali diverse (Balla, Previati, l’Impressionismo, l’Espressionismo tedesco, il pensiero evoluzionistico di Bergson, il superomismo nietzscciano), per poi, nella fase futurista, operare una sintesi dinamica di forme e spazio, percepiti simultaneamente attraverso linee- forza, colori -forza.

 

Prima di orchestrare questi elementi sporadici in una pittura e scultura d’avanguardia, Boccioni nel periodo formazionale e preparatorio, si sofferma su temi iconograficamente tradizionali, ma che servono all’artista per creare “stati d’animo”: un’esigenza di natura romantica che Boccioni sentirà anche dopo che Martinetti, ostile ad ogni sorta di sentimentalismo, acclamerà “la bellezza della velocità nello spazio”. Dal rapporto arte-scienza Boccioni, nella prima maniera, evade con temi più intimisti: la figura della donna, tanto oltraggiata da Martinetti, attirando, invece, il suo interesse, trova l’ archetipo nella rappresentazione della madre. Soggetto molto caro e ripetuto nell’arte bocconiana, l’immagine materna segna l’iter spirituale ed estetico dell’artista, destinata a sanare i salti stilistici e a recuperare il filo logico, concettuale e strutturale nella continuità evolutiva del segno.

 

Ne La madre che lavora a maglia (1907) Boccioni mostra il travaglio disegnativo e coloristico, volto a definire il volume per mezzo della linea e del colore. Ripresa nell’interno della casa, in un cantuccio solitario, accanto al tavolo, di fronte alla finestra, la donna è ripresa di tre quarti, dal basso, in una prospettiva quasi a sghembo che permette, attraverso le sporgenze e le rientranze dei volumi,di seguire la gradazione della luce, la quale smorza i colori e rende l’atmosfera più calda, più intima, familiare. Composizione che richiamerebbe la spiritualità del Fattori nel ritratto La mamma che cuce (1871), se non si evidenziassero scampoli stilistici dell’Impressionismo.

 

Più vicino all’arte di Balla per la taccheggiatura rapida del colore, Boccioni nel Ritratto della pittrice Adriana Bisi Fabbri (1907) colloca il busto della donna in primo piano; spostandolo verso sinistra, inquadra la pittrice tra un covone e un tronco d’albero che lasciano intravedere lo sfondo degli alberi. La nota di spicco è data dal grande cappello viola in sintonia col colletto della camicetta anch’esso viola, colore che emerge dalla gamma dei complementari binari giallo-verde, verde-azzurro. L’accensione coloristica, solare, rende la sensibilità della pittrice, sensibilità velata di tristezza, stato d’animo messo in luce dalla velatura d’ombra creata dalla falda del cappello.

 

Di stato d’animo diverso appare La maestra di scena (1909). In quest’opera Boccioni, servendosi  di colori accesi, d’estrazione espressionista, rivela particolari decorativi, liberty, la suggestione che vuole creare attorno al soggetto, il quale annulla l’ambiente, assorbendolo. Rapporto, dunque, di soggetto con l’ambiente che nel periodo milanese approfondisce con risultato già dinamico. La lezione del divisionismo di Balla, la conoscenza di Previati e subito dopo del neo-impressionismo francese rendono Boccioni più sensibile alla luce.

 

In  Studio di testa femminile del 1909, iconograficamente Boccioni ricorda Profumo di  Russolo, ma  il pittore calabrese  svela la sua segreta inclinazione per le scienze occulte. Come in una specie di ectoplasma, filamenti di colori avvolgono il volto della donna, che viene fuori da una lingua di fiamma, la quale tende a convogliarla nel buio, fuori del quadro. Predomino, nel fuoco artificiale dei colori, lampi giallo-verde, rosso viola-blu. Da quest’opera si evince che Boccioni cerca, quale novello Tranquillo Cremona, di raggiungere coloristicamente e luministicamente effetti emozionali, senza però cadere nello sdolcinato.

 

Nel ritratto La signora Massimino ( 1909), l’ opera forse più apprezzabile del periodo milanese, Boccioni dimostra di essere un eccellente disegnatore e un bravo colorista.

In questo dipinto il rapporto forma-spazio, soggetto-oggetto si fa più serrato. Come nel ritratto della madre che cuce, la signora Massimino sta seduta nell’interno di una stanza, ha un libro tra le mani, non legge; il suo sguardo fissa un punto lontano, fuori del quadro; la finestra, che occupa buona parte della parete di fondo, immette l’ambiente esterno nell’interno, occupato solo dal soggetto che diventa parte integrante. La conoscenza del neo-impressionismo si avverte nella resa dello spazio-luce dell’esterno e dalla polverizzazione dei colori tenui. La nota dinamica bocconiana si coglie invece nelle sagome dei viandanti nella strada, figurine riprese mentre camminano isolatamente e in direzione diverse, incomunicabili tra loro. In questa dimensione spazio-temporale il particolare (le case, la carrozza, il camion, la gente, la Signora Massimino), fermato nel tempo, diventa universale. Questo ritratto porta già i semi dell’evoluzionismo bergsoniano che tanto dovrà influire nell’opera futurista del Boccioni.

 

Richiami espressionisti si evidenziano ne Il lutto (1910) e in Idolo moderno (1911). L’assunto noldiano emerge nella prima opera dove permangono residui dell’arte simbolista; i colori sono accesi, l’espressività grottesca delle figure raggiunge il macabro della maschera. Due sono le donne che si scapigliano e piangono, ma inquadrate nella loro gestualità teatrale pare che si moltiplichino in altre immagini. Effetto virtuale che serve per poter raggiungere al climax del dramma, ma il dolore si stempera in una sorta di seduta spiritica; si notino lo svolazzio delle fulve chiome, mosse come da una presenza extrasensoriale mentre lievitano nel buio insieme con le mani, in mezzo a enormi fasci di fiori sgargianti.

 

Il gusto per l’ignoto, per l’abisso si manifesta anche in Idolo moderno. Boccioni sfoggia la sua bravura di luminista, giocando con il complementarismo dei colori; crea delle dissonanze tra di loro, fino ad arrivare all’effetto dei particolari decorativi:  l’ovale della donna, proiettato in primo piano da una traiettoria di luci metalliche, è messo in evidenza dalla linea di contorno viola, dal rosso scarlatto delle labbra, dallo sguardo  spiritato. Il tocco magico è dato ancora una volta dal cappello, non più esemplificato come quello della pittrice Bisi, ma reso ancor più vistoso dai fiori sgargianti che risaltano sopra le falde vibranti di luce. Una Circe che s’affaccia dal suo antro, misteriosa, malefica,incantatrice.


Ė l’ultima opera questa, in cui la linea, il colore e la luce compiono la loro missione lirica. In Madre che legge(1910) Boccioni va alla ricerca dei valori plastici; il ricordo cézanniano affiora dalla struttura vigorosa della figura, che occupa con la sua dimensione il primo piano e annulla lo spazio. Il disegno  molto più incisivo e la luce molto più diretta sono impiegati a costruire il volume. Quest’opera si può considerare prefuturista, in quanto anticipa quel che è scritto nel Manifesto del 1910: “Per dipingere una figura non bisogna farla, bisogna farne l’atmosfera.” Se l’atmosfera qui si avverte, nel Ritratto della madre a mezza  figura seduta (1911) si respira.

 

La figura della madre perde le caratteristiche fisionomiche per seguire la legge della scomposizione facciale, mediante piani orizzontali. Uno sgranarsi di volumi nella luce che penetra come lama nella materia, lasciando emergere dalle pieghe l’ombra, componente essenziale allo scavo psicologico. In quest’opera affiorano accenti picassiani e grisiani, destinati a confluire nella scultura e a trovare un’impronta autentica dello stile futurista del Boccioni. In Antigrazioso (La Madre, 1912) la penetrazione nell’inconscio porta l’artista alla ricerca razionale del es. L’opera vede il raffronto madre-figlio non più sotto la tradizionale forma di pietà michelangiolesca, pietà che, in Michelangelo, da semplice compianto-dimostrazione, diventa tramite d’ascesi al divino, divino che Boccini non cerca mai di raggiungere, preso com’è a definire la materia, a penetrare nel sub-materia, per giungere fino all’origine: il grembo materno.

 

Un viaggio a ritroso, tutto interiore, regressivo, fino alla fase prenatale; a questo punto viene istintivo porre un parallelo con il protagonista di  Aracoeli di Elsa Morante, per quel che di ambiguo affiora nel rapporto madre-figlio, ma nel romanzo della Morante persiste, se bel vediamo nell’iter narrativo, una tensione eroica di riscatto morale, in Boccioni, come scrive Calvesi, madre e materia sono un tutt’uno  e si tratta di una materia  “cozzante, metallica,artificiale da cui non si risale all’idea di madre-natura, ma piuttosto di una madre artificiosità:un’artificiosità che ha in comune con il caos primigenio lo stato germinale.”

 

E così che Boccioni approda, con tutte le sue implicazioni e complicazioni estetiche e filosofiche, al futurismo.

Per essere autore del suo tempo sa che deve integrarsi nella civiltà tecnologica ed industriale e lo fa, acclamando il progresso, la bellezza della velocità, anche se questa ucciderà il tempo e lo spazio e soprattutto il pensiero. Svuotato dall’io pensante, l’uomo-grido di Munch è diventato in Boccioni un robot, destinato a vivere forse nel tremila in una città, dove non si noteranno più “quelli che restano” perché a restare non saranno neanche le donne, né “ quelli che vanno” perché in una società alienata e mistificata, non si può sapere se si va verso la distruzione o, dopo tutto questo caos, si va verso la palingenesi.

 

Boccioni con la scultura Antigrazioso (1912), opera davvero inquietante dal punto di vista concettuale più che da quello formale, suggerisce una particolare lettura e conclusione: l’aggrovigliarsi dei piani plastici che si tendono e si ritraggono nel cavo materno sotto una pulsazione lenta, materica, fa pensare ad un rapporto incestuale  ab-initio tra madre-figlio, rapporto che si potrebbe verificare con la fecondazione artificiale in vitro, risultato non assurdo, ma verosimile, mirato a sanare la lacerazione del distacco ombelicale e a facilitare l’emancipazione eugenica, ma  a scapito del valore umano e dell’eticità del sentimento.

 

 - Questo breve saggio è inserito insieme agli articoli di Calvesi, Apuleio e Grisi in L’antico e il nuovo in Umberto Boccioni, edito dal “Centro Studi Corrado Alvaro - Roma”, giugno 1984 -

 * Critico d’Arte

 

 

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