CAVALLERIZZO, PAESE ARBERESHE

 

pubblicato il 19 Novembre 2014 -   Etnie

 

"Il Fallimento di una delocalizzazione: l'abitato arbëreshë di Cavallerizzo”

(Comune di Cerzeto, Calabria, Italy)

 

“The failure of Relocation: the arbëreshë village of Cavallerizzo

 (City of Cerzeto, Calabria, Italy)

 

Atanasio Pizzi  Architect and editor of the site “Sheshi i Pasionatith”

 

Fabio Ietto  Geologyresearcher UNICAL, DiBEST

 

Antonio Madotto  Secretary of the “Cavallerizzo Vive-Kajverici Rron” organization

 

 

- Sommario

 

Cavallerizzo is a village of arbëreshë minority in the Province of Cosenza, established by the Sanseverino prince of Bisignano in the early XVI century by Albanian refugees who settled in the local mountains. The village is situated close to “San Fili-San Marco Argentano, which extends over fifty kilometers. In 2005 a landslide affected the southern outskirts of recent expansion of the village; the historic center was not affected by the landslide; however the entire village was declared unfit and abandoned along with its arbëreshë heritage. The project aims to create a living museum of typical activities of the Albanian minority, and restore its Balkan, Spanish and French architectural influences and urban planning, moreover add a geological survey for the western edge of the Valley of Crati.

 - Cenni storici

L’abitato di Cavallerizzo è una frazione del comune di Cerzeto, fa parte dei centri arbëri della provincia cosentina (Calabria Italia Meridionale) ubicato tra le colline del Monte Mula che scendono a Est verso il fiume Crati (Fig.1). Il suo nome deriva da un cavallerizzo dei principi Sanseverino noto come San Giorgio di San Marco. I territori sui quali si ubica il borgo, sono menzionati già dal 1065, con la loro donazione all’Abazia di La Matina. Nel 1462 furono acquistati da Luca  Sanseverino primo Principe di Bisignano. Questi mise in atto nella provincia fiorenti attività tali da far acquisire ai suoi possedimenti l’appellativo di granaio regio. L’indotto produttivo ben presto subì, purtroppo, gli effetti della carestia, della peste e dei terremoti che videro come scenario la Calabria di allora. I successori di Luca, Girolamo, Bernardino e Pietro Antonio per cercare di dare linfa economica ai loro territori accolsero nuove e operose genti di origine albanese. I quali dopo un iniziale ”nomadismo”che si dilungò sino alla metà del XVI secolo, s’insediarono definitivamente in casali disabitati, nei pressi di chiese o conventi. In seguito trascritti gli atti di sottomissione con le autorità locali agli esuli, fu concesso il diritto di edificare manufatti in muratura oltre ad avere i privilegi di trasferire alle discendenze quanto a loro disposizione. Ebbero così inizio quelli che oggi si riconoscono come agglomerati urbani diffusi arbëreshë, contenitori fisici di usi, costumi, consuetudini e religione che si tramandano oralmente da oltre cinque secoli. Dopo una parentesi di confronto e scontro etnico/religioso con le istituzioni locali, queste si attenuarono con l’istituzione del Collegio Corsini nel 1732. L’istituto eretto per formare clericali e laici, ha consentito in seno alla minoranza, che si formassero uomini di cultura in campo religioso, giuridico, letterario e scientifico, che divennero riferimento nelle regioni e nella capitale partenopea.

 

Analisi dei sistemi urbani albanofoni

 

Gli agglomerati diffusi arbëreshë nascono secondo regie disposizioni e grazie al modello di famiglia allargata, secondo quanto disposto nel Kanun. I quartieri di Cavallerizzo, Katundì, Moticèlleth, Sheshi, Brègù e Nxertath (Fig.2), rappresentano il percorso evolutivo che il borgo ha seguito per restituirci l’attuale assetto planimetrico. Il processo di trasformazione dell’ambiente naturale in quello costruito è avvenuto secondo i parametri morfologici, floristici, orografici e climatici; fondamentali per gli esuli, giacché simili a quelli della terra d’origine. È in queste macro aree che le costanti dei sistemi urbani: il recinto, la casa e il giardino, hanno trovato l’ambiente ideale per restituire gli ambiti odierni; il recinto delimita il territorio, ove la famiglia allargata aveva il controllo assoluto; la casa, anch’essa circoscritta dal cortile era costituita da un unico ambiente in cui conservare le poche suppellettili e alimenti; il giardino è luogo della prima spogliatura, dimora dell’orto stagionale. Nel periodo che va dal XV al XX secolo, gli esuli lentamente hanno riposto il modello familiare allargato per quello urbano e poi, in tempi più recenti vive quello della multimedialità. Quando la famiglia allargata inizia ad assumere la conformazione urbana si da inizio alla realizzazione dei primi isolati (manxane), secondo schemi articolati o lineari. Inoltre lo sviluppo degli agglomerati tendenzialmente accoglie le direttive dell’urbanistica greca che allocava gli accessi degli abituri sulle strette vie secondarie, ruhat. La gjitonia, (dove vedo e dove sento), sin dal XVI secolo ha resistito alla modernità diventando il luogo della ricerca dell’antico legame indispensabile per la consuetudine arbëreshë (Fig.4),. La Gjitonia ha origine dal tepore del focolare, si espande con cerchi concentrici, nella piazzetta sheshi e si estende lungo le ruhat, sino a giungere negli angoli più reconditi dei territori comunali e non solo. La gjitonia si avverte, si respira, si assapora, si vede, si tocca, senza mai poter essere tracciata. Gli agglomerati Albanofoni rappresentano il cardine che lega lingue, religioni e storie dissimili, in grado di produrre il modello d’integrazione più riuscito del mediterraneo. Il piccolo abituro, shpia, in origine realizzato con rami intrecciati poi con blocchi di terra mista a fango e paglia, (Fig.2), in seguito, è stato ottimizzato attraverso l’utilizzo di materiali autoctoni più idonei come: pietre, calce e arena. Dopo il terremoto del 1783 e la conseguente realizzazione della Giunta di Cassa Sacra, gli stessi ambiti urbani minoritari ebbero un nuovo sviluppo architettonico e gli agglomerati inizarono a svilupparsi verticalmente. Gli ambiti urbani calabresi assunsero una nuova veste distributiva che allocava i magazzini e le stalle al piano terra mentre le abitazioni erano al primo livello. I successivi frazionamenti, richiesero l’uso delle scale esterne, profferlo, in quanto, non tutti avevano la possibilità di costruire nuove abitazioni, modificando radicalmente in questo modo le prospettive all’interno dei borghi. Il ciclo di crescita si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese, con la costruzione dei nuovi palazzotti nobiliari, espressione di una classe sociale emergente. Ciò avviene solo per le classi più elevate perché quelle meno abbienti continuano a occupare i vecchi abituri e quella media esterna la nuova posizione sociale, imitando frammenti dei palazzi post napoleonici.

 

Inquadramento geografico e geologico

 

L’abitato di Cavallerizzo ricade lungo il margine occidentale del graben del Crati, delimitato da allineamenti tettonici normali orientati N-S., a cui appartiene la faglia San Fili-San Marco Argentano, che si sviluppa per oltre 50km, (IOVINE et al. 2006),su cui sono depositati diversi abitati e la stessa Cavallerizzo. Alla faglia è attribuito il sollevamento del complesso cristallino-metamorfico, caratterizzante l’intera Catena Costiera Calabrese, rispetto ai depositi tortoniano-quaternari di riempimento del bacino del Crati. I versanti a maggiore acclività, sono costituiti da terreni metamorfici con una buona circolazione idrica sotterranea. Tali litologie, soprattutto in prossimità del sistema tettonico orientato N-S, si presentano molto alterate con fenomeni di argillificazione diffusa e alterazione superficiale (IETTO 2010). La porzione verso valle è invece caratterizzata da depositi neogenici argillosi del bacino del Crati, caratterizzati da bassa permeabilità. La zona di contatto tettonico tra il complesso cristallino metamorfico a monte e i depositi impermeabili a valle, costituisce una zona di accumulo idrico e sorgivo. La morfologia, la litostratigrafia e il carattere idrogeologico della porzione di versante attorno a Cavallerizzo rappresentano, quindi, condizioni di chiara predisposizione a fenomeni franosi, prevalenti tra le isoipse 600 e 400m. La maggiore potenzialità al dissesto s’innesca soprattutto per le coperture detritiche eluviali, date le scadenti caratteristiche meccaniche e la frequente degradazione verso termini argilloso-plastici. La condizione si concentra alla periferia meridionale dell’abitato di Cavallerizzo, rimasta scarsamente edificata fino al 1970. La porzione settentrionale dell’abitato poggia, invece, su terreni più resistenti e non presenta evidenti fenomeni di scivolamento. Va in oltre rilevato che uguale assetto geomorfologico si ripete per tutti i centri abitati allineati lungo il medesimo asse tettonico S.Fili-S.Marco Argentano.

 

La frana e le conoscenze storiche

 

La notte del 7 marzo 2005 una frana lungo il margine meridionale dell’abitato (Fig.3), coinvolse il quartiere di recente espansione denominato Nxerta, costruito su una copertura detritica eluviale già interessata da fenomeni gravitativi già dal XVII secolo, come riportato nei relativi archivi storici, in cartografie del 1903 e nella carta geologica del 1960(IETTO 2010). La condizione d’instabilità del versante fu segnalata da IETTO (1978), a seguito della messa in opera della condotta idrica Abatemarco, interrata nello stesso versante; nonché da (GUERRICCHIO1998) per la verifica di un fabbricato lesionato. Entrambe le relazioni suggerivano possibili soluzioni d’intervento per la messa in sicurezza del versante, dei pochi edifici allora presenti e della condotta idrica soggetta a ripetuti disservizi. Interventi mai realizzati, né presi in considerazione durante il successivo sviluppo edilizio. A seguito dei fenomeni gravitativi, nella porzione meridionale dell’abitato di Cavallerizzo, furono condotte dal Comune due campagne d’indagine geognostica nel 1982 e nel 1998-99, a fronte di ciò l’istituto CNR-IRPI di Cosenza attivò un sistema di monitoraggio dell’area in frana. Il collasso del 2005 ebbe ad attivarsi dopo un periodo di elevate precipitazioni atmosferiche, come richiamato nella rete di monitoraggio CNR-IRPI, che provocarono condizioni di saturazione idrica del versante. Il cinematismo della frana fu di tipo rotazionale nella porzione alta per poi attivarsi in colata, interessando un’area già ampiamente instabile e posta in crisi dalla speculazione edilizia dal 1980. Elevata danni furono riscontrati solo nel quartiere periferico denominato Nxertath, interessando solo l’11,5% del costruito totale; mentre nessun danno si rinviene nella restante parte dell’abitato, intatto a tutt’oggi. Dal 2005, non risultano altri evidenti movimenti che interessi il centro storico e nessuna evoluzione è stata riscontrata nell’area frana. L’assenza di scivolamenti in atto fu riscontrata anche nel 2009, quando le precipitazioni atmosferiche invernali fecero registrare un valore cumulato maggiore rispetto a quello del 2005 (IETTO 2010). Pertanto non è da escludere che all’anomalo incremento piezometrico, riconosciuto come causa di attivazione della frana (RIZZO, 2005a; 2005b), abbia concorso la condotta idrica Abatemarco, prontamente deviata all’indomani dell’evento. A tutt’oggi in assenza di interventi, per la mitigazione delle condizioni di rischio, resta elevata la possibilità di coinvolgimento delle aree urbane limitrofe. Pertanto il dato inconfutabile risulta che, per aver frettolosamente valutato gli ambiti di frana, si è intrapreso un percorso storicamente fallimentare.

 

La delocalizzazione dell’abitato di Cavallerizzo

 

A seguito della frana del 2005 fu interdetto l’accesso all’intero centro urbano di Cavallerizzo, ordinanza ancora tutt’oggi in vigore e i cui motivi furono ufficialmente resi noti solamente nell’ottobre del 2009. Le su dette motivazioni, basate solo su un rilevamento geomorfologico di superficie, indicherebbero l’esistenza di una paleofrana coinvolgente l’intero abitato, integrato con indagini geognostiche eseguite negli anni novanta del secolo scorso (quindi prima dell’evento 2005), oltre ad uno studio di telerilevamento satellitare che indicherebbe una traslazione dell’abitato di circa 1 cm/anno. Tale movimento risulterebbe comunque diffuso lungo tutti i centri abitati, ubicati a Nord e a Sud di Cavallerizzo, con velocità di scivolamento variabili da 2 a oltre 6mm/anno, desumendo però una condizione di elevato rischio frana, in condizioni sismoindotte, per il solo borgo di Cavallerizzo. È opportuno rilevare che le condizioni di rischio potenziale, per frane sismoindotte, sono estendibili comunque a gran parte della Calabria Nord occidentale, compreso il nuovo insediamento per la delocalizzazione in località Pianette. Va inoltre rilevato che dopo la prima conferenza di servizi, tra maggio e giugno del 2006, si diede avvio alla fase di sottoscrizione degli atti cui la popolazione era obbligata a cedere la vecchia abitazione, sottoponendo a questo iter anche coloro che innanzi a questi atti non si sono mai presentati a sottoscriverli. Nel 2007 fu quindi definito il progetto esecutivo di ricostruzione e nel corso del 2008 illustrato lo stesso alla popolazione. Il 7 Marzo de 2008 fu deposta la prima pietra di quello che sarebbe dovuto essere un paese arbëreshë con le gjitonie.

 

Il Non Progetto

 

Quando gli organi decisionali, sancirono che era indispensabile garantire l’incolumità fisica unitamente alla tutela storica di Cavallerizzo, per la redazione e messa in atto del progetto, non fu indicato come prioritario la figura dello storico o dell’esperto d’ambito in grado di rispondere sulla secolare tradizione arbëreshë, ma in maniera molto discutibile si è dato avvio al progetto ritenendo che i minoritari arbëreshë si potessero paragonare a una qualsiasi popolazione dispersa negli ambiti del mediterraneo innescando scelte progettuali tali da scambiare la Gjitonia con i Quartieri e modificando radicalmente il rapporto tra costruito e non costruito (fig.4). Così anche per i sistemi viari,che nel progetto vengono riportati come aree mercatali. Questi esempi, assieme ad altri secondari, per questo non meno rilevanti, confermano quanto sia stato sottovalutato il modello arbëreshë. Un’analisi di quanto messo a dimora in località Pianette, indicherebbe un uso improprio di studi prodotto in ambiti mediterranei, poiché si sono paragonate le dinamiche urbanistiche e architettoniche dei paesi arbëreshë verosimilmente a quelli prossimi o nei dintorni dall’equatore, realizzando nella valle del Crati scenari in cui è difficile riversare i riti e la consuetudine dei minoritari.

 

Cavallerizzo Vive

 

A Cavallerizzo, il 28/07/2007, un gruppo di abitanti fondò l’associazione “Cavallerizzo Vive-Kajverici Rron”. Nel 2008 tale associazione presentò un ricorso al T A R Lazio. La censura in merito all’opposizione del trasferimento dal borgo storico fu respinta perché tardiva; mentre quelle basate sull’opposizione di de-localizzare l’abitato è stato accolto. Il 3/3/2010 il T A R del Lazio annullò il verbale della conferenza di servizi del 31/07/2007 approvante il progetto definitivo del nuovo paese per l'omessa attuazione della V I A e precisò che, la ricostruzione di un centro abitato rappresenta un’urgenza ma non rientra nelle condizioni di stato di emergenza, non sussistendo le condizioni di pericolosità in atto e quindi in grado di minacciare l’incolumità di beni e/o persone. La Protezione Civile, Prefettura di Cosenza e Comune di Cerzeto proposero appello che l'11/12/2013 il Consiglio di Stato respinse, riconfermando di fatto la sentenza già emessa dal T A R Lazio. Il Comune di Cerzeto, a seguito di ciò, invece di prendere atto del danno subito nel corso di un decennio, ostinatamente, presentò richiesta di annullamento della sentenza emessa nel 2013 che lo stesso Consiglio di Stato, in data 14 maggio 2014, dichiarò in via definitiva, abusiva. Di contro, l’abitato storico di Cavallerizzo, con i suoi oltre 550 anni di vita, ha sempre vissuto con fenomeni d’instabilità e dal 2005 ha dovuto rispondere in maniera autonoma anche a processi vandalici che si sono attivati in seguito all’incuria e all’abbandono. Oggi i risultati scaturiti da quest’affrettata operazione si possono elencare rispettivamente in: un nuovo insediamento abusivo, il vecchio paese dichiarato inagibile a seguito dell’ ordinanza comunale e la scissione della comunità di Cavallerizzo in due fazioni, che non sanno neanche dove festeggiare il santo protettore San. Giorgio.Tutto ciò sancisce il fallimento dell’intera gestione, attuata privando i residenti di ogni baluardo decisionale, producendo alla comunità frammentata e disadattata, successive distorsioni sociali, espressione del legame materiale e immateriale smarrito.

 

Conclusioni e Progetto

 

Alla luce di quanto emerso è palese la necessità di tutelare il centro storico di Cavallerizzo, perché la rara consuetudine minoritaria, inghisata in quegli ambiti, attende l’idoneo restauro che la collochi con rispetto nello scenario sociale, culturale e scientifico calabrese cosi come intergrato prima dell’evento franoso. L’abitato di Cavallerizzo nasce perché è il risultato dell’azione di una civiltà cui è parte indissolubile perché non il frutto dell’azione costruttiva di un singolo ma cerniera di culture e perciò va salvaguardato. Dopo gli avvenimenti succedutisi a circa dieci anni dall’evento franoso, alla luce delle sentenze, si dovrebbe giungere a un ragionevole esame e consentire la messa in sicurezza degli ambiti di frana. Il centro storico, attraverso opportuni interventi deve far rivivere il patrimonio storico costruito in 550 anni di vita arbëreshe. Il recupero dell’agglomerato deve avere come fine prioritario la ricollocazione della minoranza storica che va condivisa non solo con l’associazione Cavallerizzo Vive, ma da tutta la regione arbëreshë. Un progetto che ha come indicatore la storia albanofona, intrisa nelle ostinate murature che continuano a riverberare una lingua antichissima; innestando le consuetudini agro, silvicole e pastorali tipiche degli arbëreshë, in solida convivenza con il territorio comunale. Va realizzata attraverso una convenzione con il Comune di Cerzeto, l’UNICAL, la Provincia di Cosenza, la Regione Calabria e il CNR un centro multidisciplinare e controllo delle problematiche geologiche e geomorfologiche caratterizzanti l'intero versante che perimetra il bordo occidentale di valle Crati. Tutto ciò mira a rendere l’abitato in linea con il progetto di restauro e recupero funzionale, previo abbattimento di tutte le barriere architettoniche e di ogni tipo di superfetazione fuori dalle regole storiche dei quartieri Katundì, Moticèlleth, Sheshi e Brègù. Un esempio di valorizzazione attuato attraverso studi, ricerche d’archivio storicamente comprovate e supportate dall’ausilio di tecnologia per rendere Cavallerizzo un esempio per la regione storica arbëreshë. L’auspicio è quello di vedere protagonisti i fratelli della comunità di Cerzeto riappropriarsi di Cavallerizzo e renderla parte attiva della Regione Storica Arbëreshë.

 

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